
Il Capodanno lucchese (e non solo). Lo scrittore Giampiero Della Nina ne svela i momenti più suggestivi.
Da Natale a Capodanno, il passo è breve ed anche per questa ricorrenza, i nostri nonni, usavano mettere in pratica tutti gli insegnamenti che si tramandavano di padre in figlio da chissà quanti anni. Con la cenere prodotta dal ciocco messo nel caminetto a Natale, venivano riempiti, nella notte di San Silvestro, piccoli sacchetti ricamati da regalare e conservare come portafortuna per l’anno nuovo. Era questa una tradizione della Media Valle del Serchio, ed in particolare di Cerreto frazione di Borgo a Mozzano. A pochi chilometri di distanza, a Gioviano, si trascurava la cenere per prelevare dal fuoco un tizzone da esporre, davanti alla porta o ad una finestra, allo scopo di tenere lontani gli spiriti maligni. A parte gli spiriti c’era chi pensava più concretamente ai soldi, e ne propiziava l’accumulo iniziando l’anno nuovo con il mangiare lenticchie. Portava fortuna anche mangiare uva fresca, che veniva appositamente conservata sui cannicci posti nello stanzone più alto della casa colonica. Anche in Spagna, tra l’ultimo ed il primo giorno dell’anno, è tradizione mangiare dodici chicchi d’uva, uno per ogni rintocco di campana che segna la mezzanotte. L’usanza risale al 1909, anno in cui, ad Alicante, si ebbe una eccezionale raccolta d’uva, che venne festeggiata con il proporla per il pranzo di mezzanotte insieme ad abbondanti brindisi con spumanti locali.
Per gli antichi romani, il primo dell’anno, era classificato fra i giorni infausti. Proprio per questo, era necessario scambiarsi gli auguri di buona fortuna (boni fati) ed anche strenne, quasi sempre consistenti in datteri e fichi offerti in bianchi vasetti. Dovevano essere banditi i litigi ed era di buon augurio, indossare nuove vesti, perché, come si crede e si dice oggi: “Chi rinnova il primo dell’anno rinnova tutto l’anno”.
Altre credenze invece si sono perse o sono in avanzata via di estinzione, come quella di prevedere la propria sorte sulla base delle prime figure incontrate uscendo di casa in quel giorno. Era considerata una vera e propria sciagura, incontrare il becchino, mentre portava bene imbattersi in un gobbo ed ambitissimo, toccargli la tergale protuberanza. Si riteneva foriero di sventure l’anno che cominciava di venerdì, e purtroppo il 2021 è uno di quelli. Difficile immaginare però che superi in disgrazie il 2020, anno bisestile. Ricordate quello che dicevano i nostri vecchi? “Anno che bisesta, male per chi va e peggio per chi resta!” La credenza di anno disgraziato, quando inizia di venerdì, non è diffuso soltanto in Lucchesia; nel bergamasco e nel fabrianese, si dice ancora: “Entra l’anno di venerdì, disgrazie tutti i dì’”.
Le ragazze in età da marito, il primo dell’anno gettavano una delle loro ciabatte, tenuta in piedi, dal primo piano giù per le scale: se la ciabatta cadeva con la punta rivolta verso l’uscio di casa, il matrimonio sarebbe avvenuto nell’anno; altrimenti, si doveva aspettare il capodanno successivo per ripetere l’esperimento. Tra i rituali scaramantici seguiti ancora oggi c’è quello di indossare tra l’ultimo ed il primo dell’anno biancheria intima di colore rosso, per propiziare la fertilità e quella di gettare dalla finestra oggetti vecchi quasi a dimostrare coerenza con il ciclo della vita che si rinnova.
Giampiero Della Nina