
Vescovo Italo Castellani
Lucca, 23 dicembre - Ha appena terminato di redigere il programma dell’anno diocesano. Il piglio è quello di chi è nel pieno del proprio mandato. Così, si presenta monsignor Italo Castellani, 75 anni compiuti lo scorso 1° luglio. Prima di quella data, come impone il diritto canonico, presentò le dimissioni a Papa Francesco. Che non ha ancora provveduto a nominare per la Toscana, il successore di lui e dell’arcivescovo di Siena Buoncristiani. Può darsi che la nomina sia decisa contestualmente a quella del vescovo di Prato Agostinelli, che sta per maturare il requisito anagrafico. Monsignor Castellani parla del presente e non del futuro. Suo e della diocesi.
Monsignor Castellani, come si profila, Natale per chi vive nella diocesi di Lucca? «Ho una cartellina con i curricula di venti persone che si sono rivolte a me per trovare un lavoro. Uomini, donne, non solo giovani. Anche diplomati. Non cercano quel lavoro per cui hanno studiato o che piace. Cercano un lavoro purchessia». Ma i disoccupati quasi non si vedono, in questa città che sembra immune alle temperie che segnano il nostro tempo e i cui segni sono evidenti, a due passi da qui. «I lucchesi sono sapienti, in ogni strato sociale. Discernono, sanno pazientare, tirano fuori il meglio da ciò che c’è e da ciò che sono. Secondo il Censis in questi anni l’Italia si è “incattivita”. Lucca no. Anche se le crisi aziendali di Spirale, Cromology, e di alcune attività artigianali, la rendono povera di lavoro, mentre aumentano i furti nelle case e alla Caritas le file sono sempre più lunghe». Il disagio non appare all’esterno perché non esiste o perché si è restii a manifestarlo? «C’è un innato e sano orgoglio nei lucchesi, assieme a pudore e riservatezza nel manifestare la buona e la cattiva sorte. Forse per questo si preferisce rivolgersi alle parrocchie, che assistono più famiglie di quanto si pensi. Però, la prego di non generalizzare». In che senso? «Lucca non è la Lucchesia. Nel nostro territorio sopravvivono tre anime, orgogliosamente diverse anche nel rapporto con la fede, con la solidarietà umana». Cominciamo con la Garfagnana. «Lì c’è la sapienza antica di chi ha sempre faticato e si rispecchia in una pratica religiosa accentuata e in relazioni forti, all’interno della comunità. Ci si conosce, ci si aiuta, non si è mai soli». La Versilia? «È la zona che risente con maggior velocità dei cambiamenti e anche la più creativa, come dimostra l’aver creato il Carnevale. Ma è anche il territorio con il tessuto connettivo più debole nella quotidianità, frammentato nelle relazioni, perché lì tende a mancare la solidarietà di vicinato. La storia ci dice tuttavia che la Versilia è capace di riunirsi attorno agli eventi. Festosi come il Carnevale o tragici come la strage del treno. In entrambi i casi, partecipazione e solidarietà di popolo sono significativi, davvero impressionanti». Tornando a Lucca, conviene che la città sia poco propensa a spendere, anche nella carità? «Due riflessioni che valgono per la città e per la Piana e il carattere di chi le abita. L’urbanizzazione ha spezzato le reti della forte solidarietà delle storiche corti: tuttavia dei segni di questa bellissima storia lucchese sopravvivono qua e là in centro come nelle campagne. Quanto alla disponibilità a dare, Lucca è molto generosa. A modo suo, ma generosa». Che significa “a modo suo”? «Che di fronte a un bisogno si muove anzitutto con le opere, più che col portafogli, che spesso offre una soluzione comoda e sbrigativa». Si spieghi. «Sia in caso di necessità per le nostre comunità, o anche per far fronte all’ordinario, qui ci si mobilita organizzando iniziative per raccogliere fondi: lotterie, cene o sagre. Si mettono a disposizione tempo e saperi. Si lavora manualmente. Si fa in modo che i soldi arrivino, più che darli direttamente». Conosce migliaia di lucchesi e centinaia ne avrà confessati. Qual è il peccato più frequente o accentuato? «Il primo e più grande comandamento per i cristiani, come noto, è ama Dio e il prossimo. Tutto va ricondotto a questo comandamento evangelico: dall’evasione fiscale alla mancata accoglienza, dalla affettività segnata da egoismi alla mancanza di solidarietà, alle omissioni come risposte mancate al tanto bene che c’è da fare in ogni campo». Quanto ai peccati, lei ha più volte ricordato la necessità di “santificare le feste” a fronte della sempre più frequente chiamata al lavoro domenicale. «Lavorare è il primo diritto e dovere dell’uomo. Ci sono addetti a lavori socialmente utili, il medico, il ferroviere, ma anche l’addetto della fabbrica che non può fermarsi, ai quali non si può imputare niente. Anzi. Io contesto l’esasperazione del commercio la domenica, senza neppure trarne benefici economici, perché come leggo da alcune ricerche sociali, i consumi sono quelli e non aumentano se li spalmi su più giorni. Ho un conoscente che, fuori dal nostro territorio, fa turni come la moglie. Spesso lavorano per pagare la baby sitter del figlio. Ha un senso? A questo si aggiunga, ed è quanto mi sta più a cuore, che lavorare la domenica impedisce alle famiglie, dopo un corri corri durante la settimana, di ritrovarsi unite almeno la domenica». Quanti vengono a messa nel giorno di festa? «Come diceva un vescovo mio amico non m’interessa quanti vengono, ma cosa rimane nel cuore di quelli che vengono. Mi interessa come viviamo da cristiani dopo che usciamo da Messa». Non è preoccupato? «Temo che i giovani - ovunque, non solo qui - perdano le radici cristiane. È fondamentale il ruolo dell’adulto. Il recente caso della discoteca di Corinaldo ci ha fatto riflettere. Trasmettere i valori cristiani, che sono alla base dei valori civili, è urgente per una educazione e crescita armonica delle giovani generazioni». Come vanno, i conti della diocesi? «Solidi – sempre salvaguardando lo spirito di solidarietà – e trasparenti. Giorni fa, per fare un esempio, ho firmato la convenzione con la compagnia che assicurava il 65% delle parrocchie per estendere a tutte, piccole e grandi (sono 303!), le medesime coperture. Fra un anno vedremo com’è andata e rinnoveremo l’accordo con aggiustamenti. Con questa innovazione si creano mutualità per cui la piccola pieve di montagna beneficia del surplus delle parrocchie più numerose e quindi più frequentate». Mutui in corso? «Alcuni, ma sostenibili con le risorse delle parrocchie. Il più ingente, è acceso per una chiesa della piana che riportò danni in occasione del terremoto che colpì la Garfagnana, in cui effetti si fecero sentire fin lì». Gli edifici danneggiati dal sisma in montagna sono stati riparati? «Praticamente, quasi tutti. Grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e al contributo della Conferenza Episcopale Italiana. Oltre alla partecipazione dei fedeli soprattutto delle piccole comunità, che tengono alle loro chiese. Credevo di tirare un sospiro di sollievo e invece». Invece? «Un amico, che ha un drone, mi ha mostrato i filmati di tetti e campanili, numerosi sul nostro territorio diocesano. C’è ancora bisogno di lavori». I ricavi dai biglietti che i turisti pagano all’ingresso di cattedrale e San Frediano vi aiutano? «Non sono grandi importi e le regole prevedono che i proventi dall’ingresso dei turisti, ad esempio nella cattedrale, ritornino ad essa per la ordinaria e straordinaria manutenzione. È noto che gli abitanti nella provincia di Lucca entrano liberamente in cattedrale sia per pregare sia per ammirare la bellezza artistica che ci appartiene. Per la preghiera, sono stati riservati un ingresso e uno spazio autonomo perché chi lo desidera possa entrare in ogni momento liberamente. Il biglietto ha anche un significato educativo: serve a far capire che nella chiesa esiste un valore artistico che va rispettato al di là della preghiera e della contemplazione». Lo scorso anno ci disse che uno dei problemi sociali più rilevanti era la mancanza in città di un luogo in cui le badanti possano riunirsi nei giorni liberi. «È una carenza che persiste, anche se non rappresenta l’urgenza maggiore». Capitolo migranti: si parla di smantellare le Tagliate. «Io dico che l’accoglienza è un dovere al quale non ci si può sottrarre. Che deve essere gratuita in senso cristiano, senza se e senza ma, come dice il Vangelo: “Ero forestiero e mi avete accolto”. E che non contano i numeri ma la qualità dell’accoglienza. Quanto alle Tagliate, decidere spetta alle autorità civili».