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La libertà di essere in clausura ”Pura dedizione alla preghiera”

Madre Catherine ci ha aperto le porte del monastero di Santa Gemma, dove vivono 12 monache passioniste.

C’è un luogo a Lucca dove l’inquinamento della vita non arriva. Un luogo fatto di condivisone di silenzi e armonia, di contemplazione e concentrazione. Ma soprattutto di preghiera. Si tratta del Monastero Santuario di santa Gemma Galgani, edificio storico della nostra città appena fuori Porta Elisa, davanti al quale passiamo spesso, senza sapere che cosa si nasconde dietro le alte mura che lo circondano.

Accolti dalla dolce e simpatica Mother Catherine, noi de “La Nazione” siamo stati ricevuti per una visita del Monastero claustrale per scoprire in cosa consiste il lavoro della Monache Passioniste che vivono lì dentro da molti anni.

Il monastero, dedicato alla lucchese Santa Gemma Galgani che lì visse ed è sepolta, è un grande complesso a forma quadrata la cui costruzione fu iniziata nel 1935 e, dopo un’interruzione dovuta al conflitto bellico, ultimata nel 1965.

Al centro è collocata la chiesa, sormontata da una grande cupola, opera dell’architetto Adriano Marabini. Intorno si sviluppa il Monastero, che venne costruito per ospitare circa 50 monache. È un complesso molto grande, oggi purtroppo non sfruttato a dovere: con la vocazione del XXI secolo che scarseggia, le Passioniste di Lucca sono rimaste in 12: sei italiane, quattro indonesiane, una brasiliana e un’americana, appunto Mother Catherine.

Arrivata nel 2017 per svolgere la funzione di Madre Superiora nel monastero di Santa Gemma e adesso sostituita da Madre Monica, nel 2019 Madre Catherine Marie è stata eletta prima Mother President della Congregazione delle Monache della Passione di Gesù Cristo e adesso – sembra quasi ossimorico per una monaca di clausura– gira continuamente il mondo in visita ai numerosi monasteri passionisti.

Madre Catherine ci ha fatto visitare i dormitori, gli spazi comuni, le sale riunioni, le cucine, ma anche luoghi più inaccessibili, come la cupola e la parte retrostante l’altare della chiesa, luogo appannaggio delle monache di clausura che partecipano alle messe proprio da lì.

"Una volta una delle mie nipotine in America venne a visitarmi al monastero e mi disse: Zia, perché sei in prigione?", divertita Madre Catherine.

"Il muro che ci circonda e la separazione nella cappella non sono per tenerci chiuse dentro o per proteggerci dalle persone, perché noi amiamo le persone, le teniamo nel cuore, preghiamo per loro. Il muro e la separazione sono chiamate radicali a mantenerci concentrati sulla nostra vocazione. Noi siamo dedite alla preghiera e abbiamo bisogno di uno spazio confinato per realizzare il nostro compito".

Maria Giulia Salvioni© RIPRODUZIONE RISERVATA