Sono molti i mestieri scomparsi e dimenticati, oppure soppiantati dall’evolversi di scienza e tecnologia. Pochi, crediamo dunque, ricorderanno e sapranno dei cacciatori di vipere, mestiere davvero insolito e non privo di rischi.
Di questo e di altro ci parla, nel suo ultimo libro, Roberto Andreucetti. Nel romanzo, appunto, ’’Il cacciatore di vipere’’, edito da Tralerighe libri. Una trama intensa, ricca di colpi di scena che tengono il lettore col fiato sospeso.
La storia si svolge negli anni cinquanta, epoca che continua a portarsi dietro i nefasti strascichi del dopoguerra, con disoccupazione e povertà. Persone e animali, tra cui tre muli, Fulgido, Romano e Pacioso, al pari dei padroni, esprimono, con le loro fatiche negli impervi sentieri, la durezza di vita di quei giorni. Ma su tutti predominano Gino della località Ciglieri, il suo mulo Fulgido e il figlio menomato Giacomo, il quale, invalido dalla nascita e inabile al lavoro, è continuamente vessato dal padre. Finché, in accordo con un laboratorio scientifico, troverà un’occupazione come cacciatore di vipere, dal cui veleno veniva estratto l’antidoto al loro morso.
Un mondo, pertanto, dove non sembra salvarsi nessuno, se perfino creature innocenti come questi rettili, finiscono con essere vittime del male di vivere che affligge gli umani. Così sembrerebbero andare le cose. Sennonché, per una circostanza fortuita, tramite una vipera, Giacomo troverà l’amore di Paolina, la ragazza più bella di Ciglieri. Avvenimento che immette luce in questa trama che bene ritrae il quotidiano di quegli anni, con episodi che rievocano la guerra, ma anche i costumi e le usanze della civiltà contadina che, in queste pagine, sono rievocati tra memoria storica e poesia. Poesia che esprimono perfino le vipere.