REDAZIONE LUCCA

La vera storia e il culto di oggi di Santa Zita

Lo scrittore Della Nina ci porta ”a spasso” fra tradizioni e leggenda della giornata dei fiori

Pensando a Santa Zita, la vedo come quelle contadine lucchesi di un tempo che quando mangiavano il pane si mettevano la mano sotto il mento per non perderne neanche una briciola. Donne umili che conoscevano bene il costo del pane e del companatico. Zita proveniva da Monsagrati in Valfreddana ed ancora bambina dovette aiutare i genitori, andando “per serva“ presso una facoltosa casa di Lucca: i Fatinelli. A quel tempo si poteva essere d’aiuto alla famiglia, anche soltanto col non esserle di peso. Considerati i tempi di cui si parla (circa la metà del 1200) non si può Ragionevolmente immaginare che i rapporti fra persone nobili e ricche e la loro servetta povera, campagnola ed analfabeta, fossero del tipo datore di lavoro e lavoratore di oggi. Di certo, però, non dovevano essere così insopportabili considerato che in fondo i Fatinelli l’avevano vista crescere in casa quella bambina.

Però i Fatinelli, lucchesi erano, e come tali dotati di quel senso di

parsimonia che i detrattori della lucchesità scambiano sovente per spilorceria. Quando sorprendevano Zita che portava un tozzo di pane, anche secco, ai poveri che aspettavano fuori del portone di casa, si spazientivano, ma non dicevano niente perché, in fondo, quel pane non aveva alcun valore.

Al massimo si sarebbe potuto chiedere in cambio un “requiem aeternam” per i propri defunti, come usavano fare le famiglie lucchesi somministrando

l’elemosina a chi batteva all’uscio. Un giorno però vedendo la servetta uscire di casa con un grembiule un po’ più gonfio del solito perché fra quelle pagnotte secche c’era anche del pane fresco, al quale Zita aveva rinunciato per gli amici poverelli, decisero di fermarla e, miracolo: il grembiule era pieno di fiori.

E’ per questo che nella nostra città, oggi, nel giorno della sua morte, la si ricorda come la santa di piante e di fiori. A Lucca, chi la conosceva, la riteneva una santa ed appena morta, il vescovo Paganello ne consentì il culto. La sua santità varcò ben presto i confini di Lucca, prova ne è che lo stesso Dante Alighieri riferendosi ad un magistrato lucchese, lo indica come “un de li anzian di Santa Zita”. Questo ci fa capire come la servetta de’ Fatinelli fosse conosciuta, se addirittura si

arrivava ad identificare una città facendo il nome di un suo abitante. Il divino poeta, poi, la chiama santa, ben tre secoli prima della sua canonizzazione, e questo la dice lunga sui fatti che si attribuivano a questa piccola contadina. Zita morì il 27 aprile 1278, sessantenne, ed i Fatinelli vollero che fosse seppellita nella loro cappella di famiglia nella basilica di San Frediano. E’ la patrona dei domestici e delle casalinghe. Quando morì, le campane di tutte Le chiese si sciolsero a doppio, senza essere toccate da mano mortale. Davanti alla casa Fatinelli c’era un pozzo che veniva aperto il 27 aprile: un addetto tirava su l’acqua che veniva data a bere alla tanta gente convenuta che ne faceva richiesta. Questa tradizione è durata fino agli anni Sessanta. Ancora oggi a Lucca, è tradizione, per la ricorrenza del giorno della morte di Zita, entrare in san Frediano, basilica frequentata dalla Santa, portando dei fiori , quelli che lei prediligeva, conosciuti come “manine di Santa Zita”. Si facevano benedire prima di sistemarli in casa. Ecco come ricorda questa tradizione il nostro poeta Gino Custer De Nobili, con una poesia dal titolo “Fiori di Santa Zita”:

Fiori di Santa Zita benedettafiori dolci legati a mazzettinicari fiori d’aprile tenerini d’un odore che par già di piletta. Io ch’ho’ la testa sopra la beretta, ma quel giorno un vi scordo no, fiorini. ... Vi compro in piazza degli Scalpellinie sempre dalla solita donnetta,e poi vi porto belli ritti in manoa farvi dare la benedizione fra la pigia del caro San Frediano,e poi vi porto subito a casinae vi metto con grande devozionein un bicchiere sulla comodina.

Giampiero Della Nina