
“La vita davanti a sé“ con Silvio Orlando
di Maurizio Guccione
Il teatro del Giglio propone al pubblico un nuovo interessante spettacolo di prosa che vede come attore protagonista e regista Silvio Orlando, accompagnato dall’Ensemble dell’orchestra Terra Madre diretta da Simone Campa. Con “La vita davanti a sé” (venerdi 3 e sabato 4 marzo alle ore 21, domenica alle ore 16), il noto attore napoletano porta sul palcoscenico questa interessante riduzione teatrale, tratta dall’omonimo romanzo di Romain Gary, scritto sotto lo pseudonimo di Émile Ajar e uscito nel 1975.
Una storia vissuta in un quartiere multietnico parigino, dove si incontrano i temi della società degli “invisibili”, fondamentalmente dolorosa, che tuttavia restituisce un fare ironico che si addensa all’amore attraverso il vissuto tra il bambino arabo, Momò, nel rapporto speciale con Madame Rose, l’anziana donna ebrea che cresce i figli delle prostitute. Silvio Orlando, attore stimato dal pubblico, ha lavorato con importanti registi, da Moretti a Virzì, da Salvatores a Luchetti, Mazzacurati, Placido e Pupi Avati.
Non è nuovo a interpretare personaggi che suggeriscono temi profondi, che spesso si muovono in una cornice all’interno della quale abitano i diritti civili, i travagli, le vite intense e toccanti, gli “ultimi”. Noto al grande schermo per aver recitato in una cinquantina di film, Silvio Orlando ha ricevuto decine di premi, fra i recenti citiamo quello per il miglior attore protagonista in “Ariaferma” e “Il bambino nascosto” (2022).
L’attore partenopeo ce ne parla in questa intervista.
Nella cruda realtà di un bambino tenuto a balia, viene da pensare solo a un sentimento di tristezza. Invece si percepisce un vissuto dove l’amore è forte.
"Questa è la rappresentazione della più bella storia di amore scritta dopo Giulietta e Romeo; Madame Rose non ha avuto figli e con Momò nasce un amore molto speciale, avviene un accudimento reciproco, e sarà poi il bambino a occuparsi della donna".
Come si sente nei panni di Momò?
"Mi ritengo troppo giovane... no, in realtà i vecchi e i bambini hanno le stesse fragilità e si capiscono, quindi mi sento partecipe". Momò è “il figlio di nessuno”, e nel rapporto con Madame Rose emerge qualcosa di più di un accudimento.
"È un legame unico, difficile perfino da ritrovare e spiegare;il bambino per Madame Rose rappresenta i suoi occhi sul mondo e dopo di lei, a Momò, mancherà anche quel brandello di garanzia e accompagnamento, una forma di piccola disperazione e ricerca di qualcosa, a Parigi, chissà, forse un’altra donna, verso la scoperta di un futuro".
Il mondo è in conflitto, la guerra, la paura del diverso è un fantasma ricorrente che per certi aspetti si innesta con questa storia.
"Sì, il tema è caldo, con i sensi di colpa in cui ci siamo imbattuti, le forme irrazionali, le paranoie: c’è il rischio che le persone perdano la lucidità e che la compassione diventi un lusso per chi se lo può permettere, per chi vive al caldo delle proprie case".
Lo spettacolo la vede unico protagonista con la presenza di alcuni musicisti: qual è il significato di questa combinazione?
"Lo spettacolo è nato sotto forma di lettura e l’introduzione della musica lasciava riposare il pubblico dalle parole; ma la musica, si sa, ti porta dove vuole lei, ti fa viaggiare: può essere un tamburo in Africa, un clarinetto da un’altra parte, ecco che la musica accompagna e ti trasporta".
Lei spesso ha interpretato personaggi che incarnano i temi civili: quanto bisogno c’è, oggi, di proporre tematiche sociali ed esistenziali?
"Non riesco a concepire la mia professione senza questo impegno; mi ritengo un cittadino recitante e questo lo esprimo con lo stare in scena".
Il libro termina con una sorta di esortazione: bisogna voler bene. Che cosa suggerisce la storia di Momò e Madame Rose?
"Che gli esseri umani si devono parlare perché se non ci parliamo, poi va a finire che ci si spara. Avere una visione occidentalocentrica ci porta a vedere l’altro con disprezzo, come un pericolo. Deve cambiare questo approccio, perché, semmai, il problema sara quando il “diverso”, di cui abbiamo bisogno, non arriverà più".