REDAZIONE LUCCA

Lucca e l’overtourism “Un tavolo civico di osservazione“

Pampaloni, ad di 4223, società che gestisce il Mercato del Carmine lancia la discussione sui rischi derivanti dalla ‘turistificazione’ della città.

Pampaloni, ad di 4223, società che gestisce il Mercato del Carmine lancia la discussione sui rischi derivanti dalla ‘turistificazione’ della città.

Pampaloni, ad di 4223, società che gestisce il Mercato del Carmine lancia la discussione sui rischi derivanti dalla ‘turistificazione’ della città.

di Bartolomeo PampaloniLUCCASarebbe utile, per tutti noi lucchesi, prenderci una giornata libera per fare una gita. Non molto lontano e senza nemmeno uscire dai confini della nostra meravigliosa regione: vi proporrei di andare insieme a San Gimignano. Conoscete la città in provincia di Siena, famosa per le sue torri medievali, che domina la pianura della Valdelsa? Annoverata dal 1990 all’interno del patrimonio dell’Unesco, è proprio un gioiellino, come si dice: mura in pietra perfettamente preservate, torri del Mille ancora in ottimo stato di conservazione, vie lastricate, splendidi palazzi dell’alto Medioevo e chiese decorate con spettacolari affreschi del Duecento e del Trecento. Una vera perla insomma! Salvo che, vagando per le sue strade ombrose e perfettamente linde, si avverte un vago senso di disagio, che si chiarifica man mano che continuiamo ad esplorare la pittoresca cittadina: tutto è stato perfettamente preservato, pulito, ristrutturato, ma tra fontane in marmo e torri in pietra, manca un elemento fondamentale, la popolazione.

Uniche presenze a solcare le vie lastricate, orde di turisti di ogni genere, scaricati a mandate di cento o duecento dai pullman assiepati davanti alle antiche mura: tutti i negozi della città sono lì per soddisfare le loro immediate necessità.Già nel 2014 nei giorni di punta si arrivava a soglie di anche ventimila turisti al giorno, che in un anno (anzi in otto mesi), ammontavano a tre milioni di persone, quasi ventimila pullman e due milioni di auto, per un centro che ad oggi conta poco più di mille residenti. È la stessa cosa che da decenni abbiamo visto accadere al centro storico di Firenze, oramai diventato una Disneyland a cielo aperto, off limits per i fiorentini stessi, poi a Siena e poi man mano a quasi tutti quei meravigliosi borghi di cui la nostra regione è costellata.

Quando sono rientrato a Lucca, dopo esser mancato per quasi vent’anni, mi sono trovato davanti allo stesso fenomeno: le botteghe di prossimità, tutto ciò che rende un quartiere un quartiere e non un dormitorio oppure un museo, stavano sparendo una ad una, inesorabilmente, per far posto a negozi con poco senso, se non quello di intercettare una domanda fuggitiva, offrendo cibo e prodotti di scarsa qualità. Per quasi un anno ho battuto tutte le agenzie immobiliari per cercare un affitto in centro, ma sempre mi sono sentito ripetere che oramai bisogna conoscere direttamente i proprietari, perché di appartamenti in affitto in città sul mercato non ce ne sono più. Se non sei un turista.

Si tratta di un fenomeno globale, che in altri territori (come già nella stessa Firenze) è in uno stadio ancora più avanzato in quanto a frammentazione del tessuto sociale, invasione da parte delle grandi catene multinazionali, scomparsa dei negozi di prossimità e sterilizzazione di interi quartieri: pensiamo a Montmartre a Parigi, a San Frediano a Firenze, a Monti e al Pigneto a Roma, all’intera città di Venezia, al centro storico di Amsterdam fino al centro storico di Napoli. Luoghi che per secoli sono stati identitari, ora si trasformano in sterili musei a cielo aperto che vendono i loro souvenir. Ma davanti a questo terremoto in corso, che è sotto gli occhi di tutti noi, anche a Lucca, come nelle altre città, ho trovato la stessa risposta da parte della popolazione: la pressoché assoluta indifferenza. Non se ne parla qui, se ne parla appena in Toscana, quando la nostra regione è invece una di quelle più esposte a livello italiano. Si tratta di una tendenza globale studiata da decenni, che vede i centri cittadini svuotarsi di vita, di negozi di prossimità e di abitanti, per lasciare il posto unicamente alle attività del turismo e del lusso, un processo che ha il nome di “turistificazione” oppure “over tourism”. Proporrei, per rendercelo più chiaro, una variante toscana della parola: la “Sangimignanizzazione”.

Dati di studi recenti ci parlano di una crisi sistemica che a livello italiano ha visto scomparire circa 140mila negozi di cui 46.500 di vicinato: forni, fruttivendoli, alimentari, edicole e tutti quegli altri esercizi che alimentano la vita di un quartiere. Solo in Toscana se ne sono persi 3.500 in dieci anni secondo uno studio di Confcommercio e Isvg. E se a Firenze sono più di mille a mancare all’appello, a Lucca negli ultimi dieci anni sono circa 200 (Fonte: Confesercenti). Di questo dovremmo iniziare a renderci conto: a Lucca si sta giocando una partita globale di cui la nostra città è solo una delle ultime pedine entrate a far parte del gioco.

Ma davvero ci piace una Lucca così? Davvero vogliamo che le nostre città invece di un luogo di vita, si trasformino in fuggevoli esperienze estetiche fatte di muri tirati a lucido, un bello sfondo per tante possibili pubblicità? È stato proprio pensando a loro, a chi ci ha preceduto e a chi ci succederà, pensando a tutto quello di cui nei nostri anni all’estero ci siamo sentiti custodi, che abbiamo iniziato a ritrovarci e a discutere con un ex compagno di classe e amico da una vita, Matteo Gemignani, anche lui fresco di ritorno in città dopo tanti anni passati negli Stati Uniti. Ci siamo chiesti se questo processo fosse in qualche maniera contenibile, governabile, oppure se anche noi non dovevamo accettarne la sua ineluttabilità storica. Forse, ci siamo detti, la soluzione deve partire dal basso, dal provare a ricostruire una qualche forma di comunità cittadina: ed è così che è nato il progetto del nuovo Mercato del Carmine. Ridare ai cittadini ciò che è sempre stato loro: un edificio che non sia né pubblico né privato, ma un bene comune, appartenente a tutta la popolazione residente. Un luogo dove poter tessere dei nuovi legami tra città e territorio, tra tavola e terra, tra abitanti e attività produttive, ma soprattutto tra cittadini, un luogo dove poter dar valore a quello che il passato ci ha lasciato e utilizzarlo per affrontare questo tempo di grandi incertezze globali.

Adesso, dopo circa un anno in cui abbiamo riaperto le sue porte, in questi mesi in cui il mercato dovrà chiudere per la necessaria ristrutturazione, abbiamo pensato che vorremmo dar vita ad un tavolo civico di osservazione sul fenomeno della turistificazione: vorrei quindi chiamare a raccolta al mercato del Carmine tutte quelle persone, quelle forze cittadine che sentono di voler far qualcosa rispetto a questo processo. A breve sarà comunicata la data di un primo incontro. Intanto sentiamoci, scriveteci, chiamateci. Perché se ci mettiamo insieme c’è ancora margine per fare qualcosa. Oppure la Sangimignanizzazione è il nostro unico destino?