di Francesco MeucciLa parentesi Bulgarella è stata probabilmente un abbaglio per tutti, forse anche per lo stesso presidente che magari è il primo che avrebbe preferito un epilogo diverso. Senza dubbio il suo ritorno nel mondo del calcio è stata un’esperienza un po’ troppo forzata, visti i tempi che corrono e visto il contesto. Arrivare a Lucca – una piazza non certo di secondo ordine e dove da troppi anni i tifosi attendono qualcuno in grado di ridare alla squadra il blasone che merita – con proposte mirabilianti ha oggi il sapore dell’abbandono dopo la seduzione. Doppia, se vogliamo, perché oltre ai tifosi (che un po’ creduloni lo sono per questioni di cuore...) in qualche modo anche l’amministrazione è caduta nell’illusione e ha sostenuto il progetto-Bulgarella investendo risorse nello stadio e in quel contorno che è necessario a una società che voglia piantare radici profonde. Perché così era, ma così non è stato. Eppoi, non nascondiamocelo, Bulgarella poteva anche sembrare un paroliere, un visionario o un cazzabubbole, ma trattandosi di un imprenditore i cui (vasti) interessi sono legati al mondo degli alberghi e perciò del turismo a Lucca non sembrava proprio arrivato per caso.
Adesso che fare? Questa la vera domanda. Non certo menare le mani come qualcuno si è creduto in diritto di fare, approfittando però di un momento in cui la società è palesemente assente. L’unica cosa è aspettare, vedere se questa nuova proprietà è solo un’operazione di facciata finalizzata ad altro, oppure se dietro ci sono nomi e valori in grado di offrire un futuro alla Lucchese. Le premesse non sono buone. Francamente, la trattativa portata avanti lontano dalla città, senza coinvolgere le istituzioni locali né altri, facendo uscire i nomi come se fossero congigli dal cilindro di un prestigiatore e dando l’impressione di voler tenere il tutto un po’ avvolto in una cortina fumogena, non lascia presagire niente di buono. Speriamo solo di sbagliarci.