
Ospedale (foto repertorio)
Lucca, 20 dicembre 2015 - Malasanità. È ormai un modo di dire, un’espressione abusata tanto nei programmi televisivi che sulle pagine dei giornali. Sino a che non prende la forma, drammaticamente concreta, di un vero e proprio macigno che si infrange sulla vita delle famiglie. E da un modo di dire diventa un dramma. Come è successo a quella di Sonia, una ragazza della lucchesia, che ha visto morire il padre, un pensionato settantenne, nel giro di appena pochi mesi. Tra atroci dolori, ma soprattutto circondato da una serie di carenze a livello assistenziale e terapeutico da far male. E da incrinare, per i pochi che ancora ci credono, il modello di sanità toscano troppo spesso sbandierato.
La storia di Sonia e di suo papà inizia l’estate scorsa, quando si presentano all’ospedale San Luca di Lucca. Il padre è in anemia e viene ricoverato. «Era metà luglio – racconta Sonia – e gli fecero i prelievi del sangue, le trasfusioni e, solo per l’insistenza del nostro medico curante, un’ecografia. Il risultato? Tutto a posto, nulla di rilevante e venne dimesso». Trascorrono solo quattro giorni, i dolori non passano, e sempre il medico curante consiglia alla famiglia di andare da un gastroenterologo. Dove gli viene ripetuta un’altra ecografia. Che non lascia speranza. C’è un tumore di 22 millimetri nell’intestino. Nemmeno intravisto solo quattro giorni prima al San Luca. «Non ci sembrava possibile – aggiunge – e sin dall’inizio non ci hanno lasciato speranza, l’operazione doveva servire soltanto a fargli vivere in modo dignitoso il poco tempo che gli rimaneva».
Ma purtroppo l’odissea era solo agli inizi. «Dopo l’operazione – spiega Sonia – ha avuto dei coaguli e servivano lavaggi al catetere ogni 4-5 ore. Mio padre, però non è mai stato ricoverato, se non per insistenza dell’oncologo che lo ha curato, il dottor Battistoni, che dobbiamo solo ringraziare. Così abbiamo dovuto portarlo per settimane tre-quattro volte al giorno al Pronto soccorso dove provvedevano, naturalmente dopo le file di ore di rito, ai lavaggi. È stata un’agonia in cui abbiamo minacciato, esasperati, di rivolgerci ai Carabinieri. Non ho potuto lavorare per tre mesi. Uno stillicidio interrotto solo dopo che, sempre per l’interessamento del dottor Battistoni, siamo riusciti a farlo ricoverare all’Hospice di Maggiano. Dopo due mesi mio padre è morto, ci siamo trovati di fronte a un muro di gomma contro cui vorremmo altri non dovessero sbattere».