
Metamorfosi dell’Anfiteatro ”Dai ‘castagnini‘ al mangificio Ecco com’è cambiata la piazza“
Quarantasette anni sono una vita. Quarantasette anni bastano e avanzano per osservare, dall’alto del suo appartamento, la rivoluzione che ha subìto la città, e in particolare l’Anfiteatro. Una volta, davvero un angolo unico di Lucca, ora riproposto, in salsa moderna e con vocazione quasi esclusivamente turistica, in versione mangiatoia o mangificio, come dir si voglia, per quanto il termine si aborrito dai locali che sulla storica piazza lavorano.
Angelo Albero vive dal 1976 in un appartamento che si affaccia su quello splendido ovale di origine romana. E’ un insegnante in pensione che ha vissuto tutti i mutamenti della piazza da un osservatorio privilegiato, e da dove, dall’alto, si riesce ancora a vedere quale gioiello sia questo scorcio cittadino. Di acqua ne è passata tanta sotto i ponti, piazza Anfiteatro è ormai un’altra realtà.
"Quando mi sono trasferito in questo appartamento, c’era ancora una comunità che si riconosceva nell’Anfiteatro, ci voleva quasi il passaporto per entrarvi. C’era indubbiamente anche una situazione di degrado, ma la piazza era vissuta. Ricordo ‘Faina‘ che si metteva al centro di essa con una sedia a sdraio e il suo cane per rinfrescarsi; c’erano i castagnini che facevano la tombola, c’era una socialità grandissima".
E’ nato prima l’uovo o la gallina? Ovvero: c’è stato prima un cambio negli abitanti della piazza o sono prima arrivate le attività di ristorazione?
"Prima, verso la fine degli anni ‘90, c’è stato un deciso ricambio dei proprietari degli immobili. Sono arrivati a frotte i milanesi, attirati dai prezzi bassi: con quelle cifre, dalle loro parti, potevano comprare giusto un garage. E’ da lì che è cominciato il cambiamento di piazza Anfiteatro".
Poi sono iniziati a arrivare i locali...
"In principio erano pochi: le foto, anche di non molti anni fa, lo riprovano; poi è stata una vera e propria progressione. Tenga conto che prima della sua vocazione gastronomica, si era provato far crescere l’Anfiteatro come punto per i negozi di abbigliamento, tra i primi ricordo quello di Tenucci. Ora i negozi che non servono mangiare si contano sulle dita di una mano, anche storiche attività se ne sono andate".
Nel frattempo, si sono persi anche la dimensione e l’uso culturale della piazza.
"Completamente persi, ricordo Anfiteatro Jazz, che è stata una manifestazione importante per la qualità che la contraddistingueva; come ricordo le prime edizioni del Summer che vedevano concerti anche qui e ricordo Joan Baez a piedi nudi per la piazza che prova prima del concerto. Anche alcuni alberi di Natale collocati nel corso degli anni sono stati bellissimi. Ora sono rimaste solo le nottate a un tavolino. E poi...".
E poi?
"E poi va aggiunto che non si può praticamente sedersi in piazza senza consumare, le panchine pubbliche sono state ridotte e sono annegate dai tavolini".
C’è poi il problema della stagionalità.
"Sì, dopo settembre scappano quasi tutti, restano Gherardo, che è stato un antesignano e che c’è praticamente da sempre, e pochi altri. Già dalle prossime settimane, se lei capita, vedrà gli scheletri degli arredi radunati intorno ai locali chiusi".
La definizione di mangiatoia è calzante?
"Attualmente è una mangiatoia h24: si inizia con i clienti dei bed and breakfast della zona per la colazione, poi si prosegue per pranzo e per cena. Poi il dopocena, senza dimenticare qualche festa di compleanno".
Che suggerimenti si sente di dare?
"Due: da un lato consentire alle persone di vivere la piazza non necessariamente dovendoci mangiare e poi dovrebbe essere rilanciato un programma culturale per l’Anfiteatro".
I ristoratori della zona si sono risentiti: per loro va tutto per il meglio, dicono che le critiche arrivano da radical chic: si sente tale?
"Ho sempre fatto l’insegnante nella mia vita, e mai mi sono classificato o sentito un radical chic".
Fabrizio Vincenti