Lucca, 27 settembre 2019 - Nel maggio di cinque anni fa moriva Laura Giannoni, 48 anni, vittima di un fatale melanoma, lasciando il marito e tre figli minorenni. Quattro anni prima la malattia era stata scoperta in ospedale durante la rimozione di un neo, ma nessuno la avvisò dell’esito dell’esame. Questa è la dolorosa lettera-appello del vedovo Massimo Bardazzi, che combatte da allora in tribunale per avere finalmente giustizia Questa lettera intende ricordare il drammatico epilogo della vita di mia moglie, Laura Giannoni, madre di tre figli, biologa, deceduta il 2 maggio 2014 a causa di un melanoma maligno, la cui diagnosi istologica era già a disposizione dell’Anatomia Patologica dell’ospedale di Lucca, in quanto ottenuta da un neo escisso per motivi estetici, circa due anni e mezzo prima.
Mia moglie non fu avvertita in modo incredibile di questa diagnosi potenzialmente così grave e di conseguenza non le fu consentito di fatto di porre in atto tutti i provvedimenti medico-chirurgici necessari ad assicurarle, con alta probabilità, di salvarsi la vita. Così è scomparsa a 48 anni dopo circa 18 mesi di gravissima sofferenza fisica e psicologica, lasciando con un’angoscia terribile tre ragazzi all’epoca minori e aggiungendo il dolore dell’anima a quello feroce del corpo. Avrebbe voluto vederli crescere, sapere cosa sarebbero diventati e partecipare alle tappe fondamentali della loro vita, vedere i loro bambini. Questo era il suo strazio più grande. I danni morali che noi quattro abbiamo ricevuto sono ovviamente enormi, in particolare a carico dei miei figli che ne sopportano tutt’ora e probabilmente per sempre le conseguenze.
Tante anche le difficoltà materiali e organizzative che hanno gravato e gravano giustamente sulle mie spalle. Le conclusioni dei periti indipendenti nominati dal Tribunale di Lucca dopo il nostro ricorso (CTU su procedimento ex art. 696 bis) hanno definito in maniera incontrovertibile questa colposa omissione di comunicazione e catena di negligenze come “causa determinante del successivo decesso”, eppure la controparte (ASL nord ovest) insiste tuttora senza alcun elemento, anche in sede regionale, su una generica “riduzione di chance di sopravvivenza”, non supportata in alcun modo dalla documentazione clinica e dalle conclusioni peritali, al fine di limitare l’entità del risarcimento e ritardarne l’erogazione, senza tener in conto l’aspetto umano della vicenda alla luce della sua acclarata responsabilità. Dopo anni di tattiche dilatorie, con offerte all’inizio addirittura offensive, continua ad esserci negato un decoroso risarcimento extragiudiziale, costringendoci ad andare al processo e attendere probabilmente altri anni ancora in una situazione di crescente difficoltà economica.
Questo, a nostro modo di vedere, nega di fatto la filosofia della legge Gelli-Bianco (Gazzetta Ufficiale, serie Generale, n. 64 del 17 marzo 2017), che si propone di ridurre la conflittualità in materia sanitaria e di evitare quando possibile costose e lunghissime sequele giudiziarie.
Aspetto non secondario, questo comportamento espone la Pubblica Amministrazione ad una richiesta di danno erariale da parte della Corte dei Conti nel caso di un esito sfavorevole che, stante i fatti, sembra l’ipotesi più probabile. Quello che chiediamo, dunque, è che venga resa giustizia a Laura attraverso un doveroso, dignitoso e non ulteriormente procrastinato risarcimento per i nostri tre figli i quali, nonostante la forza, il coraggio e la dignità espressi in questi anni, hanno subito questo enorme, irreparabile e purtroppo evitabile dolore.
Massimo Bardazzi