Nel reparto di Barbara Capovani. Un anno fa l’atroce delitto : "Seung? Pensai a una rapina"

Il ricordo dei colleghi della psichiatra: "Costretti a gestire non malati ma contenimenti". E spunta l’ipotesi della vendetta: lei l’aveva fatto legare al letto perché molestava una ragazzina.

All’interno del reparto dell’Spdc di Pisa, nell’ospedale Santa Chiara, dove lavorava la dottoressa Barbara Capovani, brutalmente uccisa il 21 aprile dell’anno scorso mentre usciva da lavoro, Simona Elmi e Davide Ribechini, entrambi psichiatri, raccontano cosa significa lavorare in trincea. Tra turni estenuanti e un numero sempre più esiguo di specializzandi che si avvicinano alla professione, l’obiettivo principale resta sempre quello per cui sono inizialmente entrati nel mondo della psichiatria: curare le persone, come scriviamo anche nelle pagine nazionali. È una professione "scelta per passione", ma nel corso degli anni si è trasformata, e più che "curare", ci si trova a gestire misure contenitive, spiegano i due medici.

Tuttavia, con i pazienti si instaurano legami affettivi, e la differenza sostanziale si presenta con coloro che sono "aggressivi e presentano disturbi di personalità che non sono curabili e causano problemi nella loro gestione", spiega Davide Ribechini, medico forense del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Pisa. Ribechini fa parte del tavolo ministeriale incaricato della revisione dell’organizzazione della psichiatria clinica. "La Corte di Cassazione - spiega il medico forense -, ha ritenuto che i disturbi di personalità gravi possono determinare un vizio di mente. La proposta è di trovare una soluzione terza per coloro che commettono reati, al fine di poterli inserire in istituti carcerari con sezioni separate rispetto a quelle normali".

Non solo, ma i pazienti diventano sempre più complessi nell’ultimo anno, e l’età media di coloro che vengono ricoverati si è abbassata. "Assistiamo a una forte escalation di minori di 15 anni in stato di crisi, con quadri gravi e intossicati da sostanze sintetiche che non riusciamo ad identificare, e con disturbi di personalità considerati incurabili", afferma la responsabile facente funzione dell’Spdc, Simona Elmi.

Le aggressioni, tuttavia, fanno sempre "parte del lavoro": sputi, insulti, calci, ma il paziente "ti chiede scusa il giorno dopo", dice Ribechini. È importante fare una distinzione netta con il caso di Gianluca Paul Seung, il 36enne accusato dell’omicidio di Barbara Capovani. "È sbagliato demonizzare i pazienti - precisa la dottoressa Elmi -, quando quel giorno scesi le scale e mi trovai davanti alla scena, pensai subito a una rapina. Nessuno dei nostri pazienti avrebbe mai fatto una cosa del genere". Seung fu ricoverato in quel reparto nel 2019. "Ma il suo rapporto con Barbara fu fugace – aggiunge Elmi -. Decise di legarlo al letto dopo che aveva molestato alcune giovani pazienti. Fui io a suggerire che si trattava di un delinquente, non di un paziente da curare".

Intanto al processo in corso a Pisa in Corte d’Assise, è emersa un’ipotesi sul movente: una "vendetta" da parte di Seung per aver subito, nella sua mente "una umiliazione" e per di più da una donna. Il consulente della sostituta procuratrice Lydia Pagnini, il professor Rolando Paterniti, che ha diretto l’Uo di Psichiatria Forense e Criminologia Clinica a Careggi, ricostruisce i motivi che starebbero dietro al delitto. "Seung (imputato per l’omicidio, ndr) cercò di importunare giovani pazienti del reparto. Poi ci riprovò. E fu a quel punto che la dottoressa Barbara Capovani lo legò al letto, per lui un affronto". L’ipotesi criminogenetica è una vendetta "per sanare quell’offesa per lui intollerabile. Il 36enne – ha riferito ancora in aula il professore – ha un particolare rapporto con le donne. E’ stato accusato anche di violenza sessuale nei confronti di minore. Il contenimento rappresentava per lui una ferita profonda. Un affronto intollerabile...".

Enrico Mattia Del Punta

Antonia Casini