REDAZIONE LUCCA

Omaggio alle lavoratrici. Il ricordo delle sigaraie e delle filandine lucchesi

Domattina alla rotatoria di Porta S.Anna si inaugura una targa dedicata alle migliaia di operaie che furono una forza lavoro determinante.

Domattina alla rotatoria di Porta S.Anna si inaugura una targa dedicata alle migliaia di operaie che furono una forza lavoro determinante.

Domattina alla rotatoria di Porta S.Anna si inaugura una targa dedicata alle migliaia di operaie che furono una forza lavoro determinante.

di Simonetta Simonetti LUCCA La casa vuota è più facile preda dei ladri. Ecco un frammento di storia della Manifattura tabacchi di Lucca: amarcord tratto dal mio libro “Storia del lavoro femminile. La Manifattura Tabacchi di Lucca. Una fabbrica di pubblica utilità“ edito da Tralerighe Libri. La fabbrica diventava, con il passare del tempo, una seconda casa, forse anche il luogo privilegiato dove si aveva l’opportunità di confrontarsi, di incontrare nuove persone, di crescere e di fare esperienza. Le sigaraie, che costituivano la maggioranza della forza lavoro all’interno dell’opificio nell’ultimo anno di guerra erano 2.340: a loro si aggiungevano un centinaio di figure maschili con i diversi ruoli. I tempi di guerra cominciavano a pesare enormemente sul ritmo lavorativo e lo stato d’animo era ancor più a terra. Dopo l’8 settembre 1943, la confusione, lo smarrimento e il senso di sgomento faceva temere per quello che sarebbe successo. Come si legge nella relazione del Direttore Amati resa nota all’indomani della liberazione, la fabbrica aveva mantenuto la sua stabilità fino a quel momento "essa non subì alcun danno, né fu oggetto di rapina, né da parte dei tedeschi, né da parte della plebaglia italiana, come purtroppo ebbero a lamentarsi altri Opifici del Monopolio. (...) La maggioranza delle sigararie veniva dai paesi della campagna, solo poche avevano scelto di vivere temporaneamente in città alloggiate da parenti o amici, il problema del trasporto era quotidiano, la bicicletta era il mezzo più usato anche per lunghe distanze. Poi, c’era la corriera che si prendeva dopo aver fatto lunghi tratti di strada e che arrivava vicino alla fabbrica. Con la guerra anche il viaggiare divenne difficoltoso, le frequenti requisizioni fatte dai tedeschi di mezzi e perfino di biciclette resero impossibile lo spostamento di molti lavoratori che non riuscivano a raggiungere in tempo utile il posto di lavoro: "Si veniva determinando per il personale operaio in specie, una ben difficile situazione nei riguardi dei mezzi di trasporto: requisizione di autobus prima, soppressione poi, per mancanza di materiale rotabile, di quasi tutte le linee automobilistiche in servizio pubblico, cui seguirono le requisizioni e poi le asportazioni da parte tedesca prima, da parte italiana in seguito, delle biciclette, mezzo largamente usato in quella zona. A quanto sopra si aggiungeva il disservizio ferroviario, a causa delle frequenti incursioni aeree. Si determinò pertanto una certa rarefazione di personale sul lavoro, giustificabilissima per quanto sopra, mal compresa e peggio interpretata dalle Autorità Politiche locali". (...) A capo della Provincia era subentrato Mario Piazzesi il quale attaccò più volte il Direttore Amati sulla stampa locale arrivando a minacciarlo di internamento nel Campo di concentramento di Colle di Compito. La tensione era al massimo, alle difficoltà materiali si aggiungeva uno stato diffuso di prostrazione morale che rendeva ancor più pesante sopravvivere in quei tragici momenti. Ma proprio in quei momenti la fabbrica diventava una forza unica nel proteggere chi vi lavorava e chi vi trascorreva la maggior parte della propria vita. Le incomprensioni, gli screzi che durante la normalità avvenivano tra le maestranze e la Direzione scompaiono di fronte alla minaccia di un nemico che attenta alla sicurezza della fabbrica e vuole stravolgerne l’assetto interno. Come in una famiglia si fa muro verso l’esterno e quando il Capo della Provincia Piazzesi fa arrestare dieci operaie e cinque medici che, a suo parere, avevano tenuto mano alle assenze delle prime dal lavoro con certificati falsi, il Direttore fu accusato di connivenza e di sabotaggio al Governo Repubblicano perché si oppose fortemente a questa ingiusta disposizione. (...) L’altra fabbrica cittadina che contava un numero notevole di presenza operaia femminile era la Cucirini Cantoni Coats aveva subito un devastante saccheggio da parte dei tedeschi e da parte di quella che l’Amati definisce plebaglia italiana che: "resa baldanzosa del ricco bottino già sostava numerosa nei pressi della Manifattura con carri, carriole, sacchi, ceste, quando ebbe l’ingrata sorpresa di vedere predisposto un imponente servizio di sicurezza da parte della R. Guardia di Finanza, la cui forza fu richiesto ed ottenuto che fosse tutta mobilitata per lo scopo, con l’ordine di far uso, se occorreva con le armi". Nel frattempo continuavano i contatti con il CLN locale che fu informato dalla Direzione della pericolosa situazione e fu così deciso che poiché la casa vuota è più facile preda dei ladri era necessario: "far presidiare lo Stabilimento da un certo numero dei suoi operai. La loro presenza avrebbe tenuto lontani i malintenzionati, tedeschi ed italiani, o, per lo meno ne avrebbe contenuta l’azione delittuosa". (...) Si riproponeva il delicato problema della presenza lavorativa, l’operosa disciplina auspicata dal Comando provinciale era l’ennesimo esempio di dissonanza con quanto stava accadendo. L’umore della maestranza della fabbrica in particolare di quella numerosa realtà femminile era un insieme di preoccupazione, angoscia e timore di perdere il posto di lavoro ma era estremamente impossibile andare a lavorare. Anche oggi la “casa è vuota”! E nostro dovere morale, senso civico e di appartenenza di trasmettere alle nuove generazioni la storia, le memorie collettive e quelle autobiografiche. Non si può farlo solo nei momenti celebrativi dove si strumentalizza, spesso, il significato del ricordo. Quel grigio edificio coperto e polveroso è una fucina di ricordi, di storie e di storia, ma che è senza voce e senza volto se continua a rimanere il soggetto conteso di interessi e proposte pubbliche e/o private. Questo è solo un infinitesimo frammento di una storia che fa parte integrante della nostra città, di tutte quelle donne che si incontrarono, condivisero fatiche e conquiste, di tantissime famiglie che ancora ne portano il ricordo. Non va dimenticata la storia del lavoro femminile e va creata un’opportunità di studio, di consultazione, di informazione per studenti, studiosi, appassionati al tema.