Lucca, 16 gennaio 2024 – Una nuova, sconcertate rivelazione sull’omicidio di Artan ’Tony’ Kaja, il 52enne imprenditore assassinato lo scorso 7 gennaio all’interno del piazzale della Smurfit Kappa di Lunata. Nella giornata di ieri è stata svolta l’autopsia sul corpo della vittima dal medico legale Ilaria Marradi, dopo che nei giorni scorsi era stato svolto un esame radiologico che aveva confermato come all’interno del cranio vi fosse ancora il proiettile mortale, presumibilmente di piccolo calibro. Ma, purtroppo, la realtà è ben diversa e molto più sconvolgente. Non si tratta, infatti di un colpo di pistola ad aver ucciso Tony, ma si tratta di un colpo di arma che spara pallettoni, di quelli per capirci usati per la caccia al cinghiale. Non è stato trovato un proiettile, ma vari frammenti dei pallini che si trovano all’interno del colpo. Un’esecuzione in piena regola, con il fucile da cui è stato sparato il colpo, puntato a distanza ravvicinata alle spalle dell’uomo, che è morto all’istante. Secondo le prime analisi, il tipo di proiettile sarebbe di calibro addirittura superiore di quelli utilizzati per sparare ai cinghiali, proprio per la sua incredibile pericolosità.
Un effetto devastante sulla vittima, specialmente vista la distanza ravvicinata, si parla di meno di mezzo metro, da cui è stato esploso, alla base della nuca sul lato destro. Una notizia che sconvolge ancor di più, rendendo ancora più complicata e ingarbugliata questa brutale storia. Le ricerche, fin qui orientate per lo più su una pistola di piccole dimensioni, adesso dovranno spostarsi verso un fucile, ancora da identificare con chiarezza, ma forse a canne mozze o comunque da caccia. Ma facciamo un passo indietro. I fatti risalgono, come detto, allo scorso 7 gennaio, quando è stato trovato il cadavere del 52enne, di nazionalità albanese ma residente da anni nella Piana. A fare la ma cabra scoperta è stata proprio la moglie di Tony, che era andata a cercarlo dopo che non lo vedeva rientrare dal lavoro a fine giornata.
Dopo un’iniziale fase, in cui si è cercato di fare chiarezza sulla dinamica e le cause della mote, sono iniziate le indagini per omicidio volontario. Nelle ore successive al rinvenimento del corpo, si è presentato dai carabinieri un altro 52enne albanese, Marjan Pepa, che in evidente stato di choc è stato capace solo di dire di essere “il responsabile di quanto accaduto in cartiera”. Nessun chiarimento in più, nessuna spiegazione, solo uno stato di mutismo e agitazione. A quel punto è scattato l’arresto, convalidato poi dal giudice per le indagini preliminari, Simone Silvestri, che tentato di svolgere l’interrogatorio di garanzia a Pepa. Niente da fare, si è avvalso della facoltà di non rispondere, definendosi “troppo sconvolto per riuscire a parlare”. Ancora una volta, neanche una parola in più sull’arma del delitto o sul movente. e ancora, questi due aspetti restano i veri misteri da risolvere.
L’arma, dopo il risultato dell’autopsia, è stata più o meno chiarita, anche se non è stato trovato nessun fucile in tutte le ricerche fatte fin qui, e inoltre Pepa continua a dire di non ricordarsi dove l’ha gettata. Per il movente, invece, sarà ancora più complicato. Probabilmente andrà cercato tra le pieghe del rapporto tra i due, un tempo molto amici, che negli anni è andato sempre più incrinandosi. Gelosia e invidia, forse, per i traguardi familiari e professionali raggiunti da Tony Kaja, avrebbero portato Pepa al folle gesto. Sicuramente tra i due c’era stata una lite poche settimane fa all’interno della cartiera, nello stesso luogo dove poi Kaja sarebbe stato ucciso.
Iacopo Nathan
Paolo Pacini