PAOLO PACINI
Cronaca

Omicidio di Vania: non fu un gesto di follia

Il padre della donna: "Mi aspetto giustizia"

Pasquale Russo (foto Ansa)

Pasquale Russo (foto Ansa)

Lucca, 15 febbraio 2017 - Non fu colpa di un’improbabile scintilla di follia l’atroce delitto commesso il 2 agosto scorso da Pasquale Russo (nella foto, l’arresto), il 46enne di Segromigno in Monte che uccise barbaramente la povera Vania Vannucchi, cospargendola di benzina e dandole fuoco, per vendicarsi della sua decisione di troncare la loro relazione. Anche la difesa dell’omicida ha ormai defintivamente accantonato l’idea di una perizia psichiatrica, balenata all’indomani dell’efferato delitto, dopo aver fatto incontrare Pasquale Russo in carcere a Prato da due diversi psichiatri.    Ieri mattina, nell’udienza preliminare davanti al gup Antonia Aracri, gli avvocati difensori Gianfelice Cesaretti e Paolo Mei hanno presentato ufficialmente la richiesta di rito abbreviato, senza tuttavia depositare alcuna perizia psichiatrica. Nessuna richiesta di rito «condizionato» ad ulteriori accertamenti. Un chiaro dietrofront, insomma. Il giudice ha fissato la nuova udienza preliminare al 20 marzo prossimo, per la discussione e quasi certamente per la sentenza. Nel frattempo, il 2 marzo verrà esperito un accertamento tecnico irripetibile, con esami della polizia scientifica di Roma, per valutare se il liquido infiammabile usato dall’omicida fosse benzina (come sostiene l’accusa) o miscela (come afferma l’omicida) e la presenza di eventuali impronte latenti. Dettagli, certo, ma che potrebbero rivelarsi significativi per far pendere o meno la bilancia dalla parte della premeditazione.   Pasquale Russo è imputato di omicidio volontario aggravato da premeditazione e crudeltà, nonché da atti persecutori, reati che rientrano nella legge sul femminicidio e potrebbero configurare per lui l’ergastolo. La strategia della difesa è appunto quella di smontare in qualche modo l’aggravante della premeditazione e, grazie allo sconto del rito abbreviato, evitare il massimo della pena. Non sarà facile attenuare la gravità della sua posizione, la responsabilità di un omicidio talmente barbaro e atroce da suscitare ribrezzo e orrore in chiunque. Lui, rinchiuso in carcere, negli incontri con i legali si dice «disperato». 

Il giudice ha intanto accolto la costituzione di parte civile dell’avvocato Elena Libone per i genitori Alvaro e Giovanna e i figli di Vania, dell’avvocato Marco Taddei per l’ex marito Andrea Barsali e dell’avvocato Simona Selvanetti per l’associazione «Luna Onlus» che tutela le donne vittime di violenza.   In aula, come previsto, non si è presentato l’imputato. C’era il pm Piero Capizzoto, titolare dell’inchiesta, c’erano i familiari di Vania, in un silenzioso e composto dolore. Attenti a seguire gli sviluppi di una vicenda giudiziaria che riapre una ferita che peraltro non può mai guarire. «Siamo qui perché lo dobbiamo a Vania – commenta il padre Alvaro – perché nessuno potrà restituircela, purtroppo, ma ci aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso. Ci sono troppi casi come questo. Serve giustizia, un esempio... Aspettiamo con fiducia la sentenza»