di Maurizio Guccione
Prosegue la rassegna “Canone in verso”, ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Domani appuntamento in San Francesco alle 21, con lo spettacolo (ingresso libero, prenotarsi su www.fondazionecarilucca.it.) ”Animalesse” di Lucia Poli, con la partecipazione di Rita Tumminia all’organetto. Si tratta di storie curiose e sottili, dove la protagonista è sempre un animale “in rosa”, attingendo alla poesia di Stefano Benni, come alla scrittura di Aldo Palazzeschi e Patricia Highsmith o di Leonora Carrington.
Perché proprio “Animalesse”, al femminile?
"Avevo già proposto uno spettacolo che parlava di animali, si intitolava “Storie di animali” però mi sembrava poco attrattivo. A me piace declinare al femminile, sono affascinata dal persnaggio della “gallinona” di Palazzeschi, una ovipara che fa delle uova giganti; e poi dalla “topastra” di Stefano Benni, che io registro come “topona”".
Una rappresentazione della fantasia attraverso una forma impietosa per tratteggiare i difetti dell’uomo?
"Nella storia è sempre stato così. Nello spettacolo, pensando quindi al personaggio di Benni, vi è il tentativo, in lui profondo, di esprimere i valori dell’ecologia e dell’ambientalismo, così come in altri autori, come nella scrittrice Carrington attraverso il suo stile noir; ma non vi è una morale finale, si tratta di una rappresentazione più surreale e fantastica".
A proposito di morale, niente di simile alla metafora che ci riporta alle favole di Esòpo prima e a quelle di Fedro?
"No, nessun discorsetto morale. Anche se poi un messaggio esiste: insomma, vi è una sorta di riscatto perché come fa una topastra che esce dagli scarichi a non trasmettere un messaggio di forte rilevanza sociale? Ma se pensiamo al discorsetto morale, quello no".
Quanta attualità scorge nella rappresentazione al femminile di ciò che mette in scena?
"Sono tutte interpretazioni tratte da autori e autrici del Novecento, quindi attuali; forse i giovani di oggi non registrano questa esigenza, ma gli argomenti trattati sono portatori di temi importanti: da quelli psicologici alla gelosia, dal tema del potere all’amore fino al senso di esclusione. Una marginalità che è attualità e che sarebbe importante, proprio per i giovani, indagare, anche attraverso le animalesse che porto a teatro".
Lei attraverso quale animale, anzi, animalessa, vorrebbe raccontarsi?
"Non saprei dire. Una cosa è certa, mi diverto moltissimo a farli tutti, se penso alla gallinona di Aldo Palazzeschi, anch’egli come me fiorentino, che non posso non interpretare secondo le modalità proprie dell’ambiente in cui sono vissuta, perché non mi riuscirebbe altrimenti se non attraverso l’inflessione toscana".
Quanto si diverte a entrare e uscire dalle animalesse?
"Mi diverto molto, sì. Del resto è il gusto di noi attori; in quel momento, cioè quando si interpreta, entra in gioco la psicologia, al di là del concetto di maschera pirandelliana; e il personaggio, se non lo gustiamo fino in fondo, quella immedesimazione non avviene ".
Che cosa può suggerire questo spettacolo ai giorni nostri, tra guerre, migrazioni e sofferenza?
"È sempre difficile sopperire ai grandi disastri della storia, della nostra vita, come quelli a cui assistiamo; ma nel teatro, se funziona la corrente emotiva tra palcoscenico e platea e soprattutto tra platea e palcoscenico, allora si sprigiona un momento magico che può nutrire lo spirito. Certo, non pone rimedio ai disastri di cui siamo circondati, ma può alleviare in parte la sofferenza, grazie a un momento di grande bellezza".