REDAZIONE LUCCA

"Quando la uccise non era in grado di volere"

Così il consulente della difesa sul femminicidio di Altopascio commesso da Luigi Fontana. Ma la Corte nega un’altra perizia psichiatrica

"Quando Luigi Fontana uccise la moglie Carmela, era da giorni in uno stato dissociativo tale da renderlo sostanzialmente incapace di intendere ma soprattutto di volere quel delitto. Forse occorrerebbe approfondire ulteriormente questo aspetto psichiatrico...".

Queste le conclusioni del professor Mauro Mauri, lo psichiatra consulente di parte della difesa che ieri è stato ascoltato in Corte d’Assise al processo per il femminicidio di Carmela Fontana, massacrata dal marito con una ventina di coltellate nella sua abitazione il 28 maggio dello scorso anno.

Secondo lo psichiatra incaricato dagli avvocati difensori Graziano Maffei ed Enrico Carboni, la scoperta di essere stato tradito dalla moglie "aveva ridotto Luigi Fontana da tre o quattro giorni in uno stato di profonda depressione e disperazione che è stato il presupposto dell’azione omicida. Il nodo potrebbe essere stato il gesto della moglie di prendere quel coltello in cucina. Lui lì si è sentito minacciato ed è passato dai propositi suicidi a una reazione aggressiva...". Il professor Mauri ha sottolineato di aver basato le proprie valutazioni sulla base dei colloqui avuti in carcere con l’imputato fin dal luglio 2021, sostenendo che Luigi Fontana aveva un’amnesia su quanto accaduto.

Dunque, com’era prevedibile, i consulenti delle parti hanno quindi fornito due valutazioni molto distanti tra loro. Nella scorsa udienza, la consulente della parte civile, la dottoressa Matilde Forghieri di Modena, aveva infatti evidenziato come la reazione di Fontana, "seppur abnorme, fosse da catalogare come nevrotica e non psichiatrica, quindi riconducibile ad un fatto concreto scatenante. Che in questo caso potrebbe essere la presa di coscienza del tradimento, acuita dalla ferita narcisistica derivata dal pensiero che tutti in città potessero saperlo", elemento che emergerebbe anche dai colloqui in carcere con i parenti.

In sostanza, secondo la consulente di parte civile, non ci sarebbero elementi tali da far pensare a un’infermità mentale, né a un’incapacità di intendere e di volere. Colpire la moglie, fino a ucciderla, sarebbe stata una scelta di Fontana, compiuta in presenza delle proprie capacità mentali.

Ieri i difensori dell’omicida hanno quindi chiesto alla Corte un’ulteriore perizia psichiatrica, ma dopo essersi ritirata in camera di consiglio, la presidente Nidia Genovese ha respinto la richiesta, ritenendola non necessaria alla luce di quanto già emerso al processo.

A sua volta il pm Alberto Dello Iacono aveva tra l’altro contestato il punto della presunta amnesia evidenziata dal professor Mauri, sottolineando che nei verbali dei carabinieri (e nelle intercettazioni avvenute pochi giorni dopo in carcere) l’omicida reo confesso aveva all’epoca sostanzialmente ricostruito nei dettagli e con una certa lucidità la sua versione del delitto, sostenendo ad esempio di essere stato minacciato in cucina dalla moglie con un coltello e costretto quindi a difendersi per reazione. Una reazione consistita in una ventina di coltellate sferrate, come evidenziato dal medico legale Stefano Pierotti, anche quanto la moglie Carmela giaceva già a terra.

L’udienza è stata intanto rinviata a mercoledì 25 maggio per la discussione, le conclusioni delle parti e quindi la sentenza della Corte d’Assise che dovrebbe arrivare nella stessa giornata.

Paolo Pacini