Lucca, 2 luglio 2015 - Ore 20.10, via al Radio2 Lucca Summer Festival, edizione numero diciotto, davanti a una piazza Napoleone completamente esaurita (è la prima volta in assoluto che la serata inaugurale è «sold out», con 9600 fan in delirio) con l’apparizione sul palco, in un clima ancora torrido, di Francesco De Gregori e della sua band, che attaccano la splendida «Il canto delle sirene». Alle 21.35, ecco Bob Dylan, che apre con «Things have changed». Finalmente, dopo polemiche, contrasti e ripicche, è arrivata la musica e forse anche la pace tra i due grandi protagonisti della vigilia, il sindaco Alessandro Tambellini e il «patron» Mimmo D’Alessandro, che si sono fatti fotografare insieme ripetutamente nell’area ospiti, prima del concerto. Nella stessa area (e poi, in tribuna vip), si sono visti anche Zucchero, Oliviero Toscani, Lady Moratti, Cesare Cremonini. Nel pomeriggio, invece, un po’ di schermaglie tra i mangement dei due artisti, per decidere l’ordine dei rispettivi soundcheck. E poi ferree consegne per i due show: niente immagini su schermo per De Gregori, inquadratura fissa per Dylan, con disappunto degli spettatori più lontani. Anche il volume, l’ultimo degli ostacoli, è rimasto abbastanza «tranquillo», per sfidare qualsiasi limite di decibel. Fuori dell’area-concerto, centinaia di persone che si sono accontentate di ascoltare musica e parole, cercando di sbirciare dai maxi-schermi, però senza esito, per il volere dei due artisti. Mentre altri spettatori hanno apertamente polemizzato e se ne sono andati.
SESSANTA minuti, più o meno, il set di De Gregori, che, rivolgendosi al pubblico, ha detto di «essere qui per divertirmi come voi e come, spero, Bob Dylan». In scaletta, «Il panorama di Betlemme», «Viva l’Italia», «La leva calcistica del ’68», «La donna cannone», «Rimmel», «Niente da capire», «Buonanotte fiorellino». Rapido cambio di strumentazione e ingresso, accolto da un boato, di Bob Dylan e dei suoi musicisti. La scelta dei brani è, come accade ultimamente, decisamente rivolta verso la produzione più recente, ovvero gli ultimi tre album, cover di «Shadows in the night» comprese. Pochissimi i classici: a parte «Blowin’ in the wind», nel finale, solo «She belongs to me», «Tangled up in blue», «Simple twist of fate», quasi sempre irriconoscibili, secondo costume consolidato da parte dell’autore. Ma il blues sporco di «Duquesne whistle», tratto da «Tempest», ormai è un classico a tutti gli effetti. Il genio di Duluth si è concesso una pausa di una ventina di minuti, dopo i primi cinquanta di show che, comunque, ha sfiorato complessivamente le due ore, senza deludere i fan accaldatissimi e fedelissimi. Il grande Bob si è anche rivolto un paio di volte alla platea, segno di un evidente buon feeling con la piazza. Lui è fatto così. Da più di cinquant’anni è semplicemente un faro, un punto di riferimento per i musicisti e non solo. Ed è bello che sia tornato al Summer, tanti anni dopo, per celebrare degnamente una storia da lui stesso iniziata il 6 luglio 1998.
Paolo Ceragioli