Lucca, 19 dicembre 2018 - La sua è stata una vita dura e in bianco e nero, almeno da quando aveva deciso di spegnere per sempre la sua musica. Soprattutto negli ultimi anni, vissuti da clochard: una scelta dolorosa ma anche consapevole, di assoluta libertà. Roberto Negro, nato a Lucca il 19 luglio 1954, ex docente di musica, aveva scelto da tempo un’esistenza da senzatetto, divisa tra la zona vicino alla chiesa di San Marco e il piazzale della stazione ferroviaria di Lucca. E’ morto in ospedale il 17 giugno scorso, dopo un lungo duplice ricovero, quasi nell’indifferenza generale. Ben più lungo è stato però il triste ‘parcheggio’ della sua salma nell’obitorio del Campo di Marte. Quasi sei mesi di attesa, dimenticato in una squallida cella frigorifera, prima di poter ottenere una degna e decorosa sepoltura. Si attendeva un gesto da parte di alcuni familiari che abitano in Friuli, ma nessuno si è fatto avanti: alla fine è toccato al Comune prendere in mano la delicata situazione e provvedere in proprio alle esequie, affidate all’agenzia funebre della Misericordia di Lucca. Il funerale, davanti a pochi intimi, è stato celebrato nei giorni scorsi nella cappella dell’obitorio e la salma di Roberto Negro è stata quindi finalmente sepolta al cimitero urbano di Sant’Anna. Avrebbe certo meritato di più. Roberto, 64 anni da compiere, prima che un senzatetto, era un uomo di grande cultura, con un passato da insegnante di musica e alcuni anni trascorsi all’estero, in Norvegia, poi a Udine. Dopo alcuni rovesci personali, il ritorno nella sua Lucca, dove però non si riconosceva più e viveva ai margini della società. Non si fidava quasi di nessuno (era stato anche picchiato e derubato di pochi spiccioli alla stazione) e accettava solo la mano tesa di quelle poche persone, veri amici, che spesso dovevano insistere per aiutarlo. Tra questi la Comunità di Sant’Egidio, Gino Ricci, Renzo Marcinnò presidente del Centro Provinciale della Libertas Lucca e Marco Giannanti del forno Pandemonio nella zona della stazione. «Era uno di quei personaggi a cui in qualche modo la città era legata – ricorda Renzo Marcinnò – . Non dava noia, leggeva sempre un quotidiano, e quando poteva si fermava a parlare con gli studenti. C’è chi dice che sia stato picchiato e rapinato pochi giorni prima della sua morte. Un interrogativo inquietante, che ci spinge a chiedere chiarezza». «Un uomo di grande intelligenza e cultura – sottolinea Marco Giannanti – che mi ha insegnato molto. Gli davamo una mano volentieri. Era una persona segnata da dolorose vicende personali, diffidente, ma piena di dignità e di passione per la cultura. Sì, anche a me risulta che fu picchiato e rapinato qui alla stazione. Sapere che ora finalmente riposa in pace è una bella notizia di Natale». Ciao, Roberto.
CronacaRoberto, il clochard dimenticato. E alla fine il Comune paga i funerali