REDAZIONE LUCCA

"Addio silenzioso poeta senzatetto". La storia di Roberto Negro commuove Lucca

Lettera aperta al clochard rimasto sei mesi senza sepoltura

Roberto Negro

Lucca, 7 gennaio 2018 - Sono rimasti toccati in molti dalla triste storia di Roberto Negro, il 64enne senzatetto morto nel giugno scorso e rimasto sei mesi in una cella frigo dell’obitorio in attesa di una sepoltura, cui ha poi provveduto il Comune. «Giorni fa – scrive Linda Lorenzetti – ho letto sul vostro quotidiano che, quel signore che aveva scelto di vivere per strada, tra San Marco e la stazione, è morto a giugno. Era un po’ che non lo vedevo e pensavo fosse in qualche casa famiglia, o - speravo - finalmente al coperto. In effetti avevo parzialmente indovinato... ma non immaginavo il risvolto più triste, che non è quello dell’essersene andato, ma che per 6 mesi è stato tenuto in attesa di qualcuno che gli volesse fare un funerale. Ben 180 gg sotto zero, dietro Campo di Marte. Senz’altro lui del freddo conosceva tutte le sfumature; gli mancava giusto quella del gelo artificiale».   «Ho letto quello che immaginavo, che era un uomo splendido. Era stato un insegnante di musica, chi lo conosceva ora dice che era colto e buono. A dire il vero, io ho sempre pensato che fosse molto affascinante. Pur con i suoi vestiti sporchi ormai da anni, aveva conservato un’eleganza tale, che poteva tranquillamente fare da testimonial per Armani o qualsiasi grande e celebre firma. Per me poteva stare sulla copertina di Vogue Uomo. Quando passavo da San Marco in macchina e lo vedevo sullo scalino del marciapiede, approfittavo di ogni fermata obbligata dal traffico che, in quel caso, ritenevo una fortuna, e non potevo fare a meno di pensare che avesse percepito il senso profondo della vita; più di tutti noi. Di fronte a lui mi sono sentita sempre infinitamente stupida e mi sarebbe venuto da fermare la macchina, scendere e scusarmi. La sua barba era quella di un sapiente, di un saggio, di un poeta, di un artista e di un nonno caldo e generoso, forte e buono come il miglior Babbo Natale. Gli avrei messo braccio un figlio senza il minimo timore. E quando lo vedevo sulla panchina alla stazione mi dicevo “Mi piacerebbe tanto parlarci e sapere cosa pensa”».   «Lo vedevo come un Maestro – prosegue Linda Lorenzetti – e provavo per lui grandissimo rispetto. Eppure non ho mai sentito uscire neanche una parola dalla sua bocca. In assoluto, il Signore di Lucca verso il quale ho sempre provato istintivamente stima e ammirazione. Grazie al mio lavoro ho conosciuto tanti uomini “importanti”, ma ammetto che non ho mai pensato che lo fossero realmente. O, meglio dire, per quello che “importante” significa per me. Neanche accanto a Ted Kennedy mi sono sentita in soggezione. Invece a un metro da “lui” sì. Mi sarei inchinata se potevo. Con lo stesso significato che si dà all’inchino in Oriente: come una giapponese con il suo kimono. Ma la cosa che proprio mi ha ferito non è che è morto. Nemmeno il fatto che nessuno abbia voluto dare un euro per fargli il funerale. Non credo gli importasse molto. Nella parte finale dell’articolo si diceva “forse derubato e picchiato”. Di una persona “normale” si saprebbe se è morta perché è stata picchiata. Di lui no, perché alla fine a nessuno interessa saperlo e quindi è un “dettaglio” che solo gli angeli dell’ambulanza conoscono. 64 anni sono pochi, ma penso che per lui fossero tantissimi. Credo fosse quella la ragione della sua innata eleganza e del suo talento: l’aver già intuito l’infinito. E ora, finalmente, l’ha raggiunto».