Coldiretti Lucca non accoglie proprio con entusiasmo la normativa che consente la realizzazione dei vini dealcolati. Dopo che il governo, lo scorso dicembre ha deciso di liberalizzare la produzione di vino a basso contenuto di alcol facendo leva su una direttiva europea approvata due anni fa, il dibattito continua a essere vivo. Per Coldiretti, l’argomento è sacro e rappresenta non solo un patrimonio legato alla storia del vino, ma guarda con attenzione alle ripercussioni che questo via libera potrebbe rappresentare dal punto di vista del mercato.
"Per favore – afferma il presidente di Coldiretti Lucca Andrea Elmi – non chiamiamolo vino, parliamo semmai di una bevanda alternativa". Elmi è perentorio e non potrebbe essere altrimenti: imprenditore agricolo, è laureato in viticoltura ed enologia: difficile ipotizzare una reazione diversa, insomma. "Siamo perplessi del fatto che possa chiamarsi vino – prosegue il presidente – certamente è un’opportunità anche se per pochi grandi produttori, sicuramente più remota per le migliaia di piccoli e medi produttori che custodiscono il nostro territorio".
Ci sono dei paletti, sui quali Elmi non transige: "Siamo certi del fatto che non debba in nessun modo interessare le varie denominazioni di origine, i cui rigidi disciplinari impongono caratteristiche organolettiche che difficilmente potrebbero essere rispettate da prodotti così manipolati; l’alcol stesso contribuisce a determinate sensazioni del vino al palato, in termini soprattutto di corpo, morbidezza ed equilibrio con l’acidità: non si può quindi pensare – prosegue Elmi – che per vini con denominazione di origine si vadano a sostituire le note a lui dovute con zuccheri, gomma arabica o altro che possa, in qualche modo, contribuire alla componente morbida di un vino".
Stiamo parlando, naturalmente, di una normativa che dà la possibilità di realizzare un prodotto a bassissima percentuale di alcol; e questo, al netto delle definizioni chiare e trasparenti evocati da molti, può indubbiamente aprire un mercato in qualche modo interessante. Parlare di vino, in Italia, significa tratteggiare un’antica identità, di peculiarità. Insomma, dalla Preistoria a oggi, di strada il vino ne ha fatta e non vi è ambito della letteratura (e della musica), ad esempio, dove il vino non compaia.
Prosegue Andrea Elmi: "Quello che auspichiamo è che rimanga una bevanda alternativa, e che unitamente ai molteplici attacchi che il vino sta subendo a livello internazionale, non rappresenti solo, come già visto per la carne sintetica, l’ennesimo interesse di qualche grande lobby, che vede nella strategia di lancio del suo nuovo prodotto, la demonizzazione e la distruzione del prodotto originale cui si ispira". Elmi è ancor più chiaro con un’ultima dichiarazione, dal tono decisamente appassionato: "Che ne sarà dei profumi, degli aromi che hanno il potere di regalarci un vero e proprio “viaggio”?". La Lucchesia, terra di vini e uve importanti, così come la Toscana con brand che la rappresentano del mondo, si interrogano su questa possibilità che la normativa concede: anche se il vino non sparirà certamente, non fosse altro per non fare un torto alle innumerevoli citazioni latine che al vino hanno tributato, perfino, proprietà taumaturgiche.