di Iacopo NathanLUCCASi è intrufolato dal vicino cimitero di Lunata, ha scavalcato un muretto ed è arrivato alle spalle di Artan “Tony“ Kaja sparandogli alla nuca da distanza ravvicinata, in una zona che sapeva essere sprovvista di telecamere. Questa la ricostruzione del percorso che avrebbe fatto Marian Tepa, 52 anni, autotrasportatore albanese residente a Capannori, per andare a uccidere ’Tony’. E’ lui, infatti, l’uomo che nella serata di giovedì è stato fermato dai carabinieri per l’omicidio del 52enne all’interno del piazzale della cartiera Smurfit Kappa, commesso lo scorso 7 gennaio.
Inizialmente si era pensato ad una accidentale caduta o a un malore fulminante, ma con il passare delle ore e gli accertamenti che sono stati fatti sul corpo della vittima, gli inquirenti non hanno più avuto dubbi che si trattasse di un omicidio. E lo stesso Tepa, a poche ore dalla morte di Kaja, si era presentato dai carabinieri dicendo "di essere il responsabile di quanto successo nel piazzale della cartiera".
Così, dopo ulteriori indagini l’uomo è stato prima fermato e poi arrestato, attualmente si trova nel carcere “San Giorgio“ con l’accusa di omicidio volontario. Oggi l’udienza di convalida del fermo e l’interrogatorio di garanzia con il giudice per le indagini preliminari Simone Silvestri, alla presenza del difensore, l’avvocato Mara Nicodemo. Perché ancora troppi aspetti non tornano e non combaciano. A partire dall’arma del delitto, che è sparita e nonostante le ricerche, a ieri sera, non era stata rinvenuta.
Tepa, dopo il fermo ha nuovamente confermato la sua colpevolezza, chiudendosi poi in uno stato di choc. "Sono stato io, sono stato io" le uniche cose che ha continuato a ripetere agli inquirenti. Anche il movente ancora resta un giallo, anche se, da una prima ricostruzione, le motivazioni andrebbero cercate all’interno della sfera personale dei due uomini. Entrambi albanesi, coetanei, si conoscevano da decenni e le loro vite si erano più volte incrociate, sia a livello umano che professionale e familiare. Sarebbero stati per anni vicini di casa, anche se poi, per dissapori e attriti avrebbero preferito allontanarsi. Proprio in questa spaccatura potrebbe nascondersi, covato nella sua mente per anni, il risentimento che avrebbe portato al folle gesto l’assassino. Secondo alcuni i due avrebbero avuto un alterco già qualche mese fa, proprio nello stesso piazzale che poi sarebbe diventato il luogo dell’omicidio di Artan Kaja.
Non è da escludere, anche, che le frizioni tra i due siano arrivate proprio quando la vittima ha deciso di aprire la sua azienda personale, trasferendosi all’interno della cartiera e avendo a che fare con gli autotrasportatori che quotidianamente affollano quello spiazzo. Come restano interrogativi sulla velocità di consegnarsi alle autorità da parte di Tepa, che secondo alcune indiscrezioni, avrebbe ricevuto pressioni da altri colleghi per evitare di allargare ulteriormente il campo dei sospetti.
Ancora tanti dubbi e aspetti da chiarire in una storia che fin da subito ha assunto i contorni del giallo, e nonostante il poco tempo che è stato necessario al nucleo investigativo dei carabinieri di Lucca per arrivare all’arresto, sembra ben lontana da vedere la parola fine. Un macabro intreccio di carattere umano, personale, familiare e lavorativo, che ha portato alla tragica morte del 52enne, conosciuto e ben voluto da tutti nella Piana.