Uccise Chiara e la nascose Confermata la condanna

Graziano Zangari era reo confesso dell’omicidio della sua compagna. Per la Corte d’Appello è giusta la pena di 23 anni inflitta in primo grado

Migration

Niente sconti di pena o “ribaltoni“. La Corte d’appello di Firenze ha confermato in pieno la sentenza di condanna a 23 anni nei confronti di Graziano Zangari, l’operaio calabrese 48enne che nel luglio 2019 uccise brutalmente la compagna Chiara Corrado, 40 anni di San Giuliano Terme, ex dipendente delle Poste di Capannori, nascondendone poi il corpo in una roulotte abbandonata a Torre del Lago.

I giudici hanno respinto il ricorso dei legali dell’omicida reo confesso confermando quanto stabilito dal tribunale di Lucca in primo trado. Le motivazioni saranno depositate entro 80 giorni. I difensori, gli avvocati Maurizio Campo e Valerio Vianello Accorretti, annunciano comunque un ricorso in Cassazione.

L’uomo, reo confesso del delitto, sta scontando la pena nel carcere di Prato. Il primo giugno scorso la Corte d’Assise del tribunale di Lucca, presieduta dal dottor Giuseppe Pezzuti, l’aveva condannato a 23 anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Il pm Elena Leone ne aveva chiesti 25. Tramite i suoi difensori, gli avvocati Maurizio Campo e Valerio Vianello Accorretti, aveva deciso di ricorrere in appello contro la sentenza. La difesa puntava a ottenere uno sconto di pena piuttosto consistente, contestando l’applicazione di un’aggravante. In caso di accogliemento da parte dei giudici fiorentini, la condanna sarebbe potuta scendere a 16 anni o addirittura a una pena ancora inferiore, per effetto di vari fattori. Ma così non è stato .

Tutto ruotava intorno al nodo del rapporto di convivenza e di relazione affettiva tra Graziano Zangari e Chiara Corrado che il pm aveva indicato come aggravante del delitto, accolta appunto dalla Corte d’Assise. Gli avvocati difensori avevano però presentato appello ritenendo che fosse stata applicata qui una norma entrata in vigore solo nell’agosto 2019, ovvero alcuni giorni dopo il delitto avvenuto a fine luglio. In pratica la normativa allora in vigore stabiliva come aggravante del delitto la relazione affettiva e la stabile convivenza. Ma secondo la difesa non c’erano entrambi i requisiti, che in ogni caso non sarebbero stati adeguatamente indicati nelle motivazioni della sentenza da poco depositate.

Un elemento solo in apparenza marginale: se fosse sparita questa aggravante, considerata equivalente alle attenuanti generiche nella sentenza, la pena finale poteva essere infatti ridotta di un terzo o aprire addirittura in campo all’ipotesi del rito abbreviato. Tutte ipotesi respinte dai giudici d’appello e sulle quali la difesa tornerà alla carica davanti alla Suprema Corte di Cassazione.

Intanto Graziano Zangari resta rinchiuso nel carcere di Prato dove sta scontando la pena. E forse ripensa a quel terribile delitto, alla povera Chiara, massacrata con una sbarra metallica, poi avvolta in un sacco e “dimenticata“ per mesi come un oggetto rotto in quella roulotte abbandonata.

Paolo Pacini