
Aborto alla Imm, battaglia di ‘Casa Betania’ "Pronti a tutelare la madre in tribunale"
di Patrik Pucciarelli
"Siamo pronti a fare causa se la ragazza lo vorrà. È il secondo caso di aborto, non possiamo fare finta di niente". E’ determinata Sara Vatteroni, referente legale di Casa Betania. "Se bisogna fare causa al Ministero, intraprenderemo le vie legali". La donna, sbarcata mercoledì scorso insieme a 214 migranti, è stata dimessa ieri dal Noa. In questi giorni sarà accolta dall’associazione per essere poi inserita in un percorso di integrazione. Il fatto è avvenuto giovedì scorso mentre si stavano svolgendo le operazioni di identificazione a Carrararafiere. Qualcuno ha chiesto aiuto dal bagno: i sanitari si sono precipitati e dentro c’era una donna che stava male. E’ stata soccorsa e portata in emergenza all’ospedale. Il referto riporterà che ha subito un aborto. Non è il primo caso. "Lo scorso sbarco una ragazza incinta di 4 mesi ha abortito (Geo Barents del 7 luglio, ndr). Aveva un’importante emorragia. Non è più un caso sporadico, qua siamo al secondo episodio in due sbarchi a distanza di 20 giorni. Se la causa dell’aborto è stata determinata dalla durata del viaggio, è un fattore che verrà verificato da chi di competenza".
La nave di Medici Senza Frontiere recupera la donna in acque internazionali di fronte alla Libia, è su un barchino. Una volta presa a bordo, continuano ad arrivare richieste di soccorso. Il capomissione Juan Matias Gil racconta che la Guardia Costiera ha chiesto alla cabina di comando di dirigersi verso il corridoio tunisino, così i soccorsi da 2 diventano 5, poi 10 e alla fine 12. Le ore di ricerca arrivano a 30, l’equipaggio è sfinito. A bordo c’è chi ha bisogno di cure, ci sono casi di insolazioni e disidratazioni, poi le ustioni da carburante. La donna è lì, una tra i 462 portati in salvo, in grembo ha suo figlio. La Geo Barents chiede un porto sicuro, lo comunica via radio, ha bisogno di sbarcare, i migranti devono essere soccorsi. Viene assegnato un primo sbarco, è a Lampedusa, ma dall’alto specificano che saranno solo una parte a scendere. Così attraccati al porto dell’isola ne possono sbarcare solo 116. La donna rimane a bordo, non viene fatta scendere, a lei toccherà il prossimo porto. La plancia di comando chiede un porto vicino dove fare sbarcare le restanti 346 persone. La risposta dopo qualche ora: il porto sicuro assegnato è quello di Livorno. Nello sconcerto generale, il comandante prende in mano le carte nautiche: 800 chilometri. Il tempo stimato per raggiungere la destinazione è di 4 giorni di navigazione. Così la nave accende i motori, rotta verso Livorno, chi è a bordo è in mare da 72 ore. C’è sconforto e la situazione si complica ulteriormente quando, via radio, viene fatta una rettifica. Il porto sicuro è Marina di Carrara. Poi un altro cambio di programma, i porti saranno due: prima Carrara poi Livorno. Le miglia diventano 500, i giorni 5 per un totale di 192 ore sulla nave. Arrivati a Carrara, la donna scende finalmente. "La ragazza avrà il nostro sostegno sia psicologico che legale. Andremo a fondo alla cosa".