
Alcuni degli ospiti della Comunità pedagocico-riabilitativa della Brugiana
Massa, 21 giugno 20165 -Oltre il cancello, la vita. Sembra il titolo di un libro, o di un film, invece è il titolo più appropriato per la Comunità pedagogico-riabilitativa di soggetti affetti da dipendenze patologiche del Monte Brugiana. Immerso nella folta boscaglia del monte Brugiana, a 800 metri sul livello del mare, si è formato e costituito un incantevole agglomerato che vive quasi in totale autonomia. Galeano Fruzzetti ci ha accompagnati in questo viaggio e, durante il percorso su strada sterrata, tra avvallamenti e rovi, ha cercato di spiegare e descrivere questo luogo, definendolo «un’eccellenza della città, insieme all’Opa». Ma nulla può descrivere cosa appare dopo aver varcato le sbarre di quel nudo cancello che a molti continua a far paura: un tuffo nell’armonia e nella bellezza di un mondo totalmente nuovo, «fatto con tutto ciò che la gente ha buttato via, compresi gli uomini», sottolinea Adriano Cacciatore, fondatore della Comunità. Ci troviamo di fronte ad un ambiente fiabesco, costruito giorno dopo giorno impastando terra e fuoco, aria e acqua, per recuperare forza e fiducia, rinnovare lo spirito e forgiare un’esistenza nuova, su misura, mattone su mattone, in una dimensione di rinascita. «Siamo presenti da trent’anni ma non abbiamo visibilità – commenta Cacciatore -. Vuol sapere come siamo nati? Guardi questo video, sette minuti , e poi si rende conto che ogni parola è superflua». Erano sassi, rovi e spine e tutto è servito per impastare, rifiorire. Quei sette minuti di immagini e musica sono sufficienti per comprendere lo spirito che regge la comunità, sufficienti per inumidire gli occhi e far capire che uscire dal tunnel della droga, è possibile. E quei sette minuti servono a Cacciatore per andare nelle scuole, mostrarli ai ragazzi e poi accompagnarli su, fargli vivere una giornata con gli ospiti: quanto basta per educarli e scolpire nella loro mente uno stile di vita possibile. La Comunità accoglie una media di 15 soggetti l’anno. «Siamo una tra le poche strutture in Italia che non somministra metadone o psicofarmaci. I giovani hanno bisogno di calore – spiega - , di accoglienza, condivisione della vita e delle regole che ne scaturiscono». E’ il «mal di vita» che spinge i giovani ad avvicinarsi a droga e alcol. «All’inizio, anni ’70, c’era l’eroina, sostanza chimica che attenuava il mal di vivere. L’eroinomane si notava e voleva farsi notare per essere aiutato. Oggi non è più così. Al posto della sostanza sedativa c’è quella stimolante, anfetamine e cocaina. Anche i danni sono diversi: l’eroinomane commetteva qualche reato di scippo, furto, violenza. Oggi si commettono omicidi e suicidi. La cocaina distrugge. Una volta erano i genitori che prendevano i figli per le orecchie e li portavano in Comunità, oggi invece arrivano tramite i servizi. Solo in un secondo tempo riusciamo a coinvolgere i genitori ma spesso siamo alla rimozione: non vogliono rendersene conto. C’è una delega totale. Portano il figlio a «sdrogarsi» per poi riportarlo a casa, senza comprendere il malessere, il dramma della solitudine che c’è dietro».