Massa, 23 marzo 2016 - "Oggi, meglio tardi che mai, ci si accorge dei grandi errori apportati sulle Apuane, dove una manciata di famiglie si è impossessata della “polpa’’ della montagna. E allora ci chiediamo se oggi non sia giunto il momento di mettere veramente un freno a questo sistema". A parlare così, mettendo sotto accusa le cave, è lo studioso e storico locale Gian Carlo Bertuccelli. "Pensiamo – afferma ancora – a quante tonnellate di montagne sono state portate via da quei siti che si erano formati nel corso dei millenni, milioni di anni. Una vera e propria “rapina’’ ambientale".
Bertuccelli nel suo volume "I luoghi del marmo" ripercorre la storia delle cave di Massa che avevano il paese di Forno come "capitale", con la sua celebre "cava romana". Per capire di che dimensioni stiamo parlando basta fare un tuffo nel passato, al 1864, quando si era già formata una vera e propria "task force" per continuare o attivare nuove escavazioni. "Quell’anno – dice Bertuccelli – il Comune di Massa, soltanto a Forno, aveva concesso l’autorizzazione a 10 ditte che avevano ricevuto il benestare per l’estrazione in ben 82 cave. Solo il conte Andrea Del Medico ne aveva 32, il conte Guglielmo Nhamer 14 e il professor Giovanni Isola 10".
La storia delle cave massesi ha stravolto gli usi e i costumi delle popolazioni montane. Fu soprattutto dopo un editto di Maria Beatrice Ricciarda D’Este, duchessa di Massa e principessa di Carrara dal 1790 al 1797, poi dal 1814 al 1829, decima e ultima sovrana indipendente dei nostri territori, a dare la svolta. "Da lì in poi – sottolinea Bertuccelli – si spalancarono le porte e ci fu l’assalto alla montagna e nelle fattispecie alle Alpi Apuane, una... diligenza che si fece circondare e farsi svaligiare quasi in maniera passiva. Le popolazioni indigene, quelle da famiglia in famiglia, da secolo in secolo, avevano vissuto e abitato quei territori campando di ciò che offriva loro quel terreno spesso impervio e sassoso, con arrangiamenti del caso che erano costituiti dalle attività agro-silvo pastorali. Un modo di vita arcaico che ancora si trascinava certo con sacrifici ma che pur tuttavia riusciva in qualche modo a sostenere nella parte alimentare ogni singolo, ogni nucleo familiare e quindi ciascuna comunità. Con la scoperta e l’opera massiccia attraverso l’estrazione dei marmi, i soliti personaggi con i “santi’’ in Paradiso iniziarono a impadronirsi delle Apuane, a partire dalle zone più comode per finire alle alture più imponenti. Avevano il permesso di escavazione da parte del Comune al quale andavano misere cifre di tassazione".
E gli indigeni? "Già allora – prosegue Bertuccelli – agli abitanti si riservava ben poco di quel patrimonio naturale. Le lavorazioni cominciarono per mezzo del filo elicoidale, ma la “rapina’’ ambientale ebbe inizio con l’entrata in azione di filo e corone diamantati e con l’esplosione di mine che facevano crollare pezzi importanti di montagna iniziando di fatto un lavoro di distruzione di vette, crinali, sorgenti e corsi d’acqua. Una situazione che sfuggiva sempre più di mano e che gli abitanti subivano con il ricatto di un misero salario, lasciando il precedente lavoro legato alla terra e al bestiame. Ma oggi, quanto meno, penso sia possibile riprendere in mano la situazione".