
Il regista Paolo Billi, ideatore e direttore del “Curae Festival”di Pontremoli
Adotta il modello della giustizia riparativa che ha come obiettivo il rimedio del danno e della sofferenza generata dal conflitto Il “Festival della cura”. Con i Dialoghi offre uno spazio e un tempo di ascolto sugli effetti distruttivi che i reati generano nelle vittime, nella comunità e nelle persone indicate come autori dell’offesa e sulle possibili azioni di riparazione. “Cicatrici. Reading e musica”, con la regia di Lello Tedeschi e l’aiuto regia di Pino Beato ed Elvio Assunção, è una sezione che coinvolge un gruppo misto di ragazzi provenienti dagli Ipm e dall’Area Penale Esterna del territorio nazionale e un gruppo di studenti del Liceo Vescovile di Pontremoli: insieme mettono in scena i testi frutto dei laboratori di scrittura svolti nei primi mesi dell’anno negli istituti di pena, attorno al tema cicatrici, partendo dalla vicenda della “Lettera Scarlata”. "Non era considerata la mia storia – si legge in uno dei testi –, era considerata la mia condanna. Eppure io lo ero, in realtà lo sono ancora, più forte, più debole. Ancora condannata o salvata". Il senso di colpa agevola il riscatto assumendo un significato positivo. Con le letture le musiche emerse dai laboratori di rap realizzati negli Ipm.
"La compagnia che porta in scena lo spettacolo è composta da sei ragazze, quattro studenti e da tre cittadini di Pontremoli – spiega il regista Paolo Billi –. La drammaturgia compone insieme i testi elaborati nel Laboratorio di scrittura condotto da Francesca Dirani, con l‘aiuto di Lorenzo Borrelli, con le ragazze dell‘Ipm, una classe del Liceo Malaspina di Pontremoli e un gruppo di studenti dell‘Istituto Tecnico Belmesseri di Pontremoli, e alcune citazioni dal romanzo “La lettera scarlatta”. Il tema al centro dello spettacolo è lo stigma, il marchio, che viene imposto da una comunità nei confronti di una persona giudicata rea. L‘isolamento e le discriminazioni diventano punizioni inesorabili che la persona marchiata e i suoi congiunti subiscono. Accade però che lo stigma non sia un qualcosa di fisso e permanente: infatti muta nel tempo e muta valore". Il regista sottolinea come il romanzo di Hawthorne, scritto a metà Ottocento, metta sorprendentemente in luce, accanto alla tragicità dell‘impronta cucita, l‘aspetto dinamico dello stigma. "Alla storia di Ester - aggiunge Billi - si intrecciano le scritture delle ragazze e degli studenti, che offrono immagini e riflessioni poetiche su quotidiani stigma fisici, sullo stigma sociale e infine sulle stigmate, come segno divino e simbolo terreno, insieme". Lo spettacolo è allestito all‘interno dell‘Oratorio di Nostra Donna, piccolo gioiello di barocco pontremolese.
N.B.