di Claudio Laudanna
Era stato Paolo Fiorentino a invitare Francesco Di Blasi a condividere con lui l’appartamento occupato alla ex Colonia Vercelli. Quei pochi metri quadrati a due passi dal litorale e dalla zona residenziale di Marina si sarebbero poi trasformati, giovedì scorso, in un luogo di sangue e morte, ma per la vittima e il suo presunto colpevole sono stati per alcune settimane un posto caldo e asciutto dove mettersi alle spalle difficoltà e incertezze. A provare a ricostruire gli ultimi mesi di Di Blasi è chi ha avuto modo di conoscerlo bene: il responsabile della San Vincenzo de Paoli Ferdinando Mazzoni. L’associazione caritatevole ha seguito a lungo le vicende del presunto omicida, ospitandolo nel proprio campo roulotte di vie delle Pinete e poi aiutandolo anche una volta concluso questo progetto.
"Di tutti coloro che erano ospitati nelle case mobili alla Partaccia Francesco Di Blasi è stato di fatto l’unico a non aver trovato un’altra sistemazione grazie al Comune – spiega Mazzoni -. Si tratta di una persona che è sempre stata inquieta e tendente alla violenza e, da quanto mi dicono, ha rifiutato anche di sottoporsi al percorso di disintossicazione dall’alcool che gli era stato proposto dai servizi sociali come conditio sine qua non per accedere al progetto housing first. Lui d’altronde era una persona che non ne voleva sapere di farsi aiutare e così con la chiusura del campo di via delle Pinete si è così trovato senza un luogo fisso dove stare". Proprio questa perdita di un punto di riferimento avrebbe secondo il responsabile della San Vincenzo aggravato una situazione già critica soprattutto dal punto di vista psicologico prima ancora che materiale. "Qualche soldo in tasca Francesco lo aveva, so che percepiva il reddito di cittadinanza e noi stessi lo abbiamo aiutato a riavere la residenza in città in modo da poter ottenere la pensione – prosegue Mazzoni -. Tutte le carte sono state completate attorno al mese di settembre e per me quella sarebbe dovuta essere la svolta per lui, ma purtroppo non è stato così. Durante l’estate Di Blasi passava le sue notti solitamente dalle parti della pineta di viale Vespucci, ma si lamentava spesso del troppo rumore e in questi mesi era diventato sempre più esasperato, ci raccontava di non farcela più . ‘Bisogna proprio che torni in prigione in modo da avere un pasto assicurato’ avrebbe addirittura confessato a una persona che lo seguiva e provava a dargli una mano". Da qualche tempo poi per il 67enne originario di Palermo si erano aperte le porte di una nuova convivenza i cui esiti si sono però purtroppo rivelati tragici. "Come associazione – continua il responsabile della San Vincenzo – non abbiamo mai seguito Paolo Fiorentino, ma chi ha avuto a che fare con lui racconta di una persona buona e generosa, tanto che sarebbe stato proprio lui a invitare Di Blasi a condividere l’appartamento che aveva occupato all’ex campo profughi. In quella stessa zona Francesco aveva già trovato ricovero in passato, ma il suo non è un carattere facile e così aveva litigato con degli altri occupanti che non solo lo avevano presto cacciato, ma lo avevano anche picchiato e mandato all’ospedale per 20 giorni. Fiorentino invece si era fatto avanti e gli aveva offerto un aiuto fino a quando non è stato aggredito con ferocia".