Massa, 6 agosto 2024 – “L’educazione prima di tutto". E’ amareggiata la dottoressa del pronto soccorso vittima di minacce e maltrattamenti da parte dei parenti di un paziente. E dopo l’avvilimento pensa ad azioni legali. "E’ successo nel parcheggio dell’ospedale, dopo il mio turno di lavoro – racconta la specialista ancora sotto choc e dopo una notte insonne e con attacchi di panico –. Avevo smontato a mezzanotte. Una situazione che lascia amaro in bocca dopo 12 anni di pronto soccorso. Dopo il Covid dovevamo uscirne migliori e invece... Ci riempiamo la bocca di tanti discorsi contro la violenza – spiega la sanitaria – poi questo è il risultato. Posso capire i familiari dei pazienti in situazioni del genere, anche io di recente ho perso un parente. Mi hanno aggredito verbalmente e minacciato, erano in tre. Alla fine mi hanno detto: ‘Fortuna che sei una donna... Ti rompo i denti che hai in bocca’. La cosa che fa più rabbia – prosegue lo sfogo – è che è successo davanti a testimoni, che sono rimasti inermi. La mattina seguente ho riflettuto molto prima di andare al lavoro, poi ho pensato: ‘Non ho niente da nascondere’. Ho ricevuto subito la solidarietà da parte dei colleghi. La notte ho avuto crisi d’ansia e panico, e ho anche alcuni problemi di salute. Episodi del genere possono far pensare di andare via, gettare la spugna. Adesso – è invece la reazione di chi sa di essere dalla parte giusta – ho intenzione di sentire il mio legale e farmi consigliare, anche per una questione di principio, non mi interessa di lucrarci".
Intanto, dopo la solidarietà immediata dei colleghi, anche quela dell’ordine dei medici. Il presidente Carlo Manfredi accusa le difficili circostanze nelle quali si svolge il lavoro al pronto soccorso, situazioni in cui è a rischio la sopravvivenza. "Tutto si decide in poco tempo – si legge i un documento dell’ordine –. In questa fase cruciale i medici, integrati nell’equipe di assistenza, devono essere nelle condizioni migliori per attuare tutte le misure necessarie per il bene del paziente. Non sempre le decisioni assunte dall’equipe coincidono con quelle dei parenti, e anche quando è stato fatto tutto il possibile i malumori o le differenze di opinione non mancano. Ma la competenza tecnico professionale appartiene all’equipe. Quando le cose vanno bene tutti si sentono gratificati. Quando non vanno nel verso desiderato, anche i sanitari sperimentano drammatiche reazioni, ma devono andare avanti senza lasciarsi bruciare perché devono essere pronti al massimo delle loro potenzialità per il paziente successivo. C’è un limite che fa parte della condizione umana oltre il quale non ci si può spingere. E’ difficile – prosegue la nota dell’ordine – accettare questa dura realtà in quei frangenti da parte di tutti i soggetti coinvolti. Ma come si fa a inveire contro i medici, a usare violenza verbale e fisica? Tanto più che, nel caso in questione, il paziente è stato trattenuto in osservazione. In questo modo si straccia il patto per la salute con coloro che si prendono cura dei sofferenti e si danneggiano le loro facoltà di curare senza indebite ingerenze e condizionamenti. Ci sono mezzi e metodi più efficaci per verificare l’operato nell’interesse di tutti coloro che ne hanno e ne avranno bisogno. Praticare l’intimidazione è la forma più rozza e arcaica per far valere un punto di vista, fondato o, come più spesso accade, infondato che sia. Massima solidarietà alla dottoressa vittima della violenza e auspicio di un cambiamento negli orientamenti e nei comportamenti degli utenti".