Sono 72 le specialità apuo-lunigianesi spingono sul podio il made in tuscany. Però 21 sono a “rischio” estinzione. Dalla torta di riso al pane di Vinca, dall’amaro Clementi alla cipolla di Treschietto e Bassano, dall’aglio massese alla mela binotto, c’è molto del paniere apuo-lunigianese nella lista dei 467 prodotti tipici regionali che proiettano la Toscana al terzo posto a livello nazionale dietro alla Campania (601) e al Lazio (593).
Un prodotto su dieci censito (15%) appartiene alla cultura contadina ed artigiana della provincia. A dirlo è Coldiretti sulla base dei dati elaborati dal suo Osservatorio strategico relativi al censimento delle specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni. "Le produzioni tipiche e gastronomiche raccontano la storia del nostro territorio; sono un potente strumento di promozione, la principale porta di accesso al turismo che ha permesso a molti borghi e paesi di essere scoperti, apprezzati, ripopolati. Ma hanno anche un ruolo chiave nella crescita e nello sviluppo delle filiere che sono spesso legate a piccole realtà agricole e a particolari momenti della vita delle singole comunità. – spiega Francesca Ferrari, presidente Coldiretti –. Insieme al paesaggio, questo enorme patrimonio agricolo ed alimentare, di cui le aziende agricole sono un presidio fondamentale, è parte della nostra identità. Volani che consentono alla Toscana di essere associata ad un territorio dove si vive e si mangia bene e di essere oggi tra le mete turistiche più ambite al mondo".
Nell’elenco ci sono però anche 21 tipicità considerate a “rischio” estinzione. È per esempio il caso della cipolla di Terceretoli coltivata da un paio di agricoltori che ne conservano e tramandano il seme, dell’agnello di Zeri, una specialità a tavola quello cotto lentamente nei testi di ghisa, che la presenza dei predatori stanno dimezzando ma anche della mela muso di Bue e dei peschetti del Candia per non parlare delle tante specialità prodotte all’ombra delle Apuane come il biroldo, la mortadella, il formaggio caprino e la castagna d’Antona. "Quasi un prodotto agricolo tradizionale su tre rischia di scomparire dalla nostra dieta e dalle nostre tavole a causa di un’offerta standardizzata che privilegia le grandi quantità e le rese. Se non fosse per la passione di pochi agricoltori ed hobbisti lo sarebbero già. – prosegue –. Da qui l’importanza della filiera corta e dei mercati contadini di Campagna Amica che permettono alle aziende agricole di valorizzare e commercializzare molte di quelle produzioni tradizionali che altrimenti sarebbero già scomparse e ai consumatori di apprezzarne i sapori e la loro storia. L’unico modo per non disperdere questo patrimonio di biodiversità alimentare è riportare sulle nostre tavole queste produzioni".
Non è un caso che nei piccoli borghi – sottolinea Coldiretti – nasca il 92% delle produzioni tipiche secondo l’indagine Coldiretti/Symbola, una ricchezza conservata nel tempo dalle imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture storiche. Un patrimonio che spinge a tavola un terzo della spesa turistica alla scoperta di un Paese come l’Italia che è l’unico al mondo che può contare sui primati nella qualità, nella sostenibilità ambientale e nella sicurezza della propria produzione agroalimentare. E spinge la Lunigiana, nelle aziende agrituristiche, migliaia di turisti ogni anno che arrivano per vivere un’esperienza all’insegna del buono, del sano e del bello.