Massa, 23 luglio 2024 – “L’appello è infondato e deve essere respinto". Tanto basterebbe per tracciare una linea netta: la Farmoplant è (cor)responsabile dell’inquinamento delle acque sotterranee delle aree Sin e Sir di Massa e Carrara, dalla zona industriale fino al mare. Il Consiglio di Stato ha rigettato, parola per parola, il ricorso di Edison contro la sentenza di primo grado del Tar di Firenze, risalente ormai a quattro anni fa. Le parole messe nero su bianco dalla Quarta sezione del Consiglio di Stato a Roma (presidente Luigi Carbone, consiglieri Vincenzo Lopilato, Luca Lamberti, Silvia Martino e Michele Conforti), forse non saranno sufficienti a mettere la parola fine sulla vicenda della Farmoplant ma di certo entreranno nella storia del territorio apuano, come la sentenza del Tar del 2020.
Non cancelleranno mai il ricordo dell’esplosione della Farmoplant, avvenuto il 17 luglio del 1988, la nuvola nera carica di veleni che aveva oscurato il cielo, la paura e la fuga, non saneranno le ferite di un territorio che 36 anni dopo ancora attende la bonifica. Non aiuteranno a pulire la falda dai veleni del polo chimico apuano. Ma sono parole che sanno di giustizia per chi è nato e cresciuto all’ombra delle Apuane.
Un processo che ha messo di fronte Edison Spa, colosso dell’energia, ritenuta erede a tutti gli effetti di Farmoplant, il Ministero dell’ambiente, Arpat, e con loro il Comune di Massa, le società proprietarie di alcuni lotti Ivan Massa Srl e La Victor Coop Arl. Addentrarsi nelle vicende giudiziarie è complesso ma è la sostanza che conta oggi e torniamo all’inizio: "L’appello è infondato e deve essere respinto".
I giudici del Consiglio di Stato smontano pezzo per pezzo tutti i tentativi di riformare la sentenza di primo grado. "Deve anzitutto convenirsi con l’Avvocatura dello Stato che non è esatto affermare che l’area sia stata definitivamente bonificata già nel 1995" visto che già nello stesso certificato si ipotizzava la possibilità di individuare altre aree sospette. Uno degli elementi cardine, poi, l’utilizzo del tetracloroetilene nei processi produttivi dello stabilimento. Sì, perché se la Farmoplant lo aveva utilizzato, sostiene l’azienda, solo per trattare le acque di risulta, il Consulente tecnico d’ufficio del Tar Arthur Alexanian in primo grado aveva acquisito "dalle società controinteressate anche la documentazione relativa alla circostanza che fin dal 1960 nello stabilimento Montecatini Azoto veniva prodotto dicloretano".
Cambia il nome ma la ‘filiera’ aziendale resta la stessa, insomma. Bastava andare ancora un po’ indietro nel tempo. Il Consiglio di Stato, poi, prende atto di un altro assunto decisivo, emerso dalle analisi di Sogesid e rimarcato in passato da La Nazione: "Il fosso Lavello separa le due aree costituisce una barriera idraulica che impedisce il trasferimento di eventuali contaminazioni". Insomma, i veleni sotto la Farmoplant non sono stati trascinati da altre sorgenti, almeno non del tutto.
Una lunga analisi, tecnica e giuridica, attraverso cui i giudici confermano la sentenza del Tar: "la (cor)responsabilità della ricorrente nella causazione dell’inquinamento appare dimostrata" e il fatto che non si possa escludere la "responsabilità anche di altre imprese ivi operanti" non rende illegittimo per ciò solo il provvedimento impugnato. Perché la normativa italiana ed europea sull’inquinamento precisa che si basa sul "più probabile che non", e il soggetto individuato responsabile "non può limitarsi a ventilare il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi ma deve provare e documentare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare quale altra impresa debba addebitarsi la condotta". Infine, sul fatto che Edison sia successore o continuatore della Farmoplant per i giudici non esistono dubbi anche a seguito dei passaggi societari avvenuti nel tempo.
Sul fronte del risanamento ambientale, nel frattempo, pochi giorni fa è arrivata un’altra proroga di un anno da Roma per l’avvio dei lavori di realizzazione del progetto di bonifica elaborato daSogesid. Un piano presentato ormai a giugno nel 2022 e che proprio per quei ritardi aveva perso i finanziamenti del Fondo di sviluppo e coesione: erano stati stanziati in tutto 21 milioni di euro. Sarebbe dovuto partire prima di giugno 2023: prevede quattro barriere idrauliche su ex Farmoplant, Rumianca, Italiana Coke e Ferroleghe, più un impianto di trattamento a doppio filtro. Le risorse ora ce le mette la Regione Toscana, 12 milioni di euro. Il bando Sogesid era stato aperto a dicembre, per ora c’è una prima aggiudicazione ma il nome del vincitore non è stato svelato. La progettazione esecutiva dovrebbe essere pronta in circa 5 mesi, altri 16 mesi di lavori, 3 per l’avviamento, 6 per il collaudo.