A giustificare il desiderio di saperne di più sugli scultori della famiglia Piccirilli viene a proposito un volume di Franco Frediani e Anna Vittoria Laghi, recentemente presentato al Palma e intitolato “I Piccirilli di Massa. Dalla Martana a New York”. Leggendolo si scopre come mai soprattutto uno di loro, Attilio, è rimasto impresso nella storia della cultura Oltreoceano e sarebbe bello diventasse ancor più oggetto di studio fra noi. A darne l’esatta connotazione è la chiusa con la quale la Laghi definisce il perimetro della loro arte: "L’abilità tecnica e l’estetica rinascimentale del post neoclassicismo che i Piccirilli portarono con sé dall’Italia, influenzarono profondamente il panorama artistico americano contribuendo, con la loro maestria nella lavorazione del marmo e il loro impegno nella realizzazione di opere pubbliche, al rafforzamento di quel Neo Rinascimento americano che, già per altre vie, aveva ricevuto influenze europee così anche lasciando un’impronta duratura nell’arte americana che, forse ancora tutta da approfondire, rende i Piccirilli un nome sinonimo di eccellenza scultorea".
La figura di questa famiglia in rapido movimento è ben tratteggiata da Frediani con il solito preciso riferimento alle fonti e una cronologia che detta i tempi di questa esplosione artistica che culminerà nella Grande Mela con la creazione di un laboratorio al quale si rivolgeranno i più grandi notabili della città più internazionale al mondo: il “Piccirilli Brothers Marble Carving Studio”, situato al 462 East della centoquarantaduesima strada, fra South Bronx e Mott Haven, contigua alla Upper Manhattan. Laboratorio dal quale – e prima ancora da quelli in cui i fratelli lavorarono come dipendenti – sono uscite opere importanti, sia destinate a luoghi pubblici sia su commesse di privati, clienti fra i più ricchi di una New York assetata di essere all’inizio del Ventesimo secolo, e prima della grande crisi, la capitale non solo economica ma anche culturale e artistica del pianeta.
Il primo “marmorino” della famiglia Piccirilli si chiama Giovanni, ma è il figlio Giuseppe (classe 1842) il primo ad avere fama (ma non ricchezza), allievo di Stefano Galletti che si era formato alla bottega di uno dei maggiori scultori del diciannovesimo secolo, il carrarese Pietro Tenerani. E proprio il Galletti sarà il padrino di Attilio che nasce alla Martana nel 1866 (morirà a New York nel 1945). Il libro racconta l’intreccio delle famiglie di quel periodo pieno di spirito risorgimentale e la vita nelle osterie delle strade Alberica e Beatrice. Con i Piccirilli sono imparentati i Mercanti, i Tognini, i Giorgi.
I laboratori di Giuseppe sono fuori Porta Martana e poi nell’attuale via Bastione: la famiglia non se la passa troppo bene nonostante le commesse e quindi Attilio e Ferruccio cercano fortuna a Londra partecipando fra l’altro ai lavori nella cattedrale di Saint Paul con alcuni bassorilievi di angeli dell’altare. Sarà dall’Inghilterra, il 2 aprile 1888 che i fratelli Piccirilli e i genitori si imbarcano sul “New England”; dopo 14 giorni approdano a Ellis Island: dal molo di fronte alla Statua della Libertà, inaugurata solo due anni prima, inizierà la loro fortuna. Giuseppe con Angela e i figli Ferruccio, Attilio, Furio, Masaniello, Orazio, Getulio e la piccola Jole, tre anni, si sistemano sulla cinquantacinquesima strada grazie a un mecenate ebreo, Oesterman, che li ammira. Sarà soprattutto Attilio a primeggiare, tanto che un critico e studioso americano, Vincent Lombardo, gli dedicherà il volume “Life of an american sculptor”.
Frediani racconta le vicissitudini della famiglia e dà un’ampia documentazione delle opere realizzate dai Piccirilli nel loro “Marble Carving Studio” con un corollario fotografico e di documenti molto ricco. Una base per rincorrere altre storie di una famiglia di scultori le cui opere adornano i maggiori edifici pubblici e privati di New York e di altre città americane.