Il figlio Milo e il nipote Saverio, accompagnati dall’assessore di Montignoso Gina Gabrielli, hanno accolto con emozione la medaglia d’onore in memoria di Dino Vignali. "Era mio nonno – ha detto Saverio –. Ci ha sempre raccontato la vita dei campi di concentramento ma in maniera non tragica. Era il prestigiatore del campo e quello che ci raccontava sembrava una favola. Molti anni dopo, per un esame di maturità sulla giornata della memoria, ho realizzato cos’era quella ‘favola’ che lui aveva vissuto sul serio". Se per il nipote Saverio il racconto diventava favola, per il figlio Milo era una storia cruda, reale, disumana. Dino Vignali, nato a Montignoso nel 1921, era stato chiamato alle armi nel ‘41 e, dopo un periodo di addestramento, inviato al fronte greco-albanese, poi ricoverato nell’ospedale da campo per la malaria.
"Dopo l’8 settembre ’43 – racconta Milo – mio padre fu fatto prigioniero dalle forze armate tedesche e deportato in Germania in di un vagone merci. Raccontava che nel viaggio scarseggiavano cibo e acqua, erano stipati nei vagoni piombati e costretti a espletare i bisogni fisiologici a turno, in un angolo. Narrava quelle terribili condizioni di vita durante la prigionia, segnate da fame, freddo e disperazione. Le baracche di legno offrivano un misero riparo, con una sola coperta per internato e una stufa a legna insufficiente per scaldare l’ambiente gelido. Il cibo scarseggiava e gli internati cercavano qualsiasi cosa potesse alleviare la fame, cavallette o lumache da abbrustolire quando possibile sulla stufa, storni da catturare con tagliole vicine ai reticolati, con il rischio di essere scoperti. Nel campo di prigionia c’era una disumanità estrema, controlli rigidi, adunate gelide nei piazzali. Spesso all’appello mancavano molti detenuti, ritrovati poi senza vita nei letti o nelle latrine". Venne liberato dalle forze armate alleate l’8 maggio ‘45. "E’ stato il primo prigioniero di guerra di Montignoso a rientrare dalla Germania: in bicicletta, impiegò un mese e un giorno".
Angela Maria Fruzzetti