
Il caso dei falsi incidenti Un testimone conferma "Ho rifiutato la proposta"
di Andrea Luparia
Accusa all’attacco nel processo chiamato “Botto uno“, contro gli autori delle truffe (vere o presunte lo decideranno i giudici) alle assicurazioni. Oggi alla sbarra c’erano gli 11 accusati la cui posizione processuale è più pesante, ovvero quelli per i quali la Procura a suo tempo chiese misure cautelari. Ieri mattina uno dei testimoni chiamati a deporre dal pubblico ministero Marco Mansi ha rivelato di essere stato oggetto del “corteggiamento“ di uno degli imputati: "Volevano che fingessi di essere investito. Io ho rifiutato - ha detto il teste – . Lui però ha insistito (indicando uno degli imputati) per farmi fare un falso incidente. Ho sempre detto no. Mi ha fatto i nomi di persone che avevano guadagnato con incidenti simili. Ne ho parlato anche con l’assicurazione". Dopo aver risposto al Pm, il teste è stato sottoposto al fuoco di fila degli avvocati difensori. Prima ha dovuto spiegare perchè si era assicurato: "Ho fatto l’assicurazione per motivi personali. Perché so che gli incidenti veri ci sono", poi gli hanno chiesto di essere preciso sulle date: "Sono passati 6 anni. Era il 2016 o 2017". Dopo di lui è stata la volta del titolare di un centro diagnostico presente nella nostra provincia. Ed è stato lui a rivelare che Sai - Unipol di Bologna, forse perchè aveva intuito che qualcosa non quadrava, si era rivolta ad alcuni investigatori privati. Come nei film, per capirci: "Io sono stato contattato da una nota agenzia investigativa di Milano. Mi hanno chiesto notizie per pratiche Unipol-Sai inviate loro dalla sede di Bologna. C’erano più pratiche e pareri forse non conformi. Poi mi hanno contattato anche i carabinieri di Massa per due assicurazioni. Era il 2016 e il 2017. Ho dato all’Arma i dati richiesti. Ho anche presentato querela dopo una mail dell’agenzia di investigazioni che chiedeva lumi sulla documentazione medica di una donna. C’erano cose non vere. Anche un cognome: l’iniziale di un medico era stata storpiata aggiungendo una doppia". Il giudice Maddaleni ha disposto la visione delle mail intercorse tra la società di investigazioni e il centro diagnostico e dopo anche queste teste è stato sottoposto a varie domande da parte dei difensori: "Chi ha fondato il centro? Chi è il proprietario? Sua mamma è laureata? Collabora? È lei la contabile? Oppure è l’amministratrice. Lei invece cosa fa? Il radiologo?".