Il partigiano Morgan fa 100: "Ho lottato per la libertà. Giovani, state attenti"

Lodovico Pucciarelli ha festeggiato il compleanno con la famiglia e con l’Anpi "Ci siamo opposti alla prepotenza degli occupanti. A Forno ho visto la morte in faccia".

Il partigiano Morgan fa 100: "Ho lottato per la libertà. Giovani, state attenti"

Lodovico Pucciarelli con la figlia Donatella

Cento anni per il partigiano Lodovico Pucciarelli, nome di battaglia ’Morgan’, che faceva parte della terza compagnia ’Naldo Pegollo’. Dopo i festeggiamenti al ristorante ’Il Baraccone’, organizzati dall’Anpi di Massa con la famiglia, abbiamo incontrato Lodovico al Fescione, dove trascorre i suoi pomeriggi all’ombra di un filare di pioppi e ontani che seguono il profilo del suo terreno. Perchè Pucciarelli, e ci tiene a sottolinearlo, prima di tutto è stato ed è un contadino. E guarda la sua distesa di terra dove la zappa più non affonda, appesa ai ricordi di un passato esposto all’ingresso del podere, in una sorta di museo con gli attrezzi che raccontano una vita di terra e fatica.

Lodovico, che significa essere partigiano?

"Vuol dire far parte di un gruppo di persone che si oppongono alla prepotenza degli occupanti, per ritrovare la libertà. Quelli si erano organizzati in squadre con doppia ’emme’: i Mai Morti. E la parola era: paura sempre".

Come sei entrato a far parte del gruppo partigiano?

"Lavoravo a Viareggio, alla Todt, con i tedeschi. Poi ci fu un bombardamento che ci costrinse a cercare riparo verso la stazione. Abbiamo camminato attraverso i campi e non siamo tornati indietro. Giunti a Massa, prendemmo la via delle Apuane. Non avevamo nulla: né mangiare, né bere, né dormire. Sono state le donne ad aiutarci, a risollevarci dalla fame e a indicarci dove si aggiravano le squadre dei ’Mai Morti’, per evitare i pericoli".

Ricordi qualche episodio particolare in cui hai rischiato la vita?

"Il 13 giugno 1944 ero a Forno, sfollato con la famiglia. Facevo già parte del gruppo dei partigiani, la prima compagnia. Lì ho rischiato di morire. Quando ci presero nel rastrellamento alcuni di noi riuscirono a scappare tra i vicoli del paese e raggiungere le montagne. Ero tra quelli. Tante persone erano sfollate a Forno in quel periodo. Ricordo anche quando scortavo i prigionieri tedeschi sui sentieri delle Apuane verso Azzano e tenevo sempre il fucile carico, pronto a sparare per difendermi".

Per la liberazione, quel 10 aprile 1945, dove ti trovavi?

"In Brugiana. Siamo scesi ed eravamo già alle Poste, a Massa, quando qualcuno dei nostri, nell’euforia, issò la bandiera tricolore: i tedeschi cominciarono a sparare. Fu subito abbassata ma ormai i proiettili erano partiti. Uno di quei proiettili, inesploso, rimase impigliato nelle inferriate del Palazzo Ducale, in piazza Aranci. Fu disinnescato in seguito. Una scheggia colpì a morte il comandante partigiano Naldo Pegollo".

Cosa pensi di chi fece un’altra scelta?

"A parte quelli convinti, da una parte e dall’altra, devo dire che non c’era molta consapevolezza. Eravamo allo sbando. Alcuni andarono dalla parte sbagliata per comodità e per fame, senza ideologie. Io avevo un nonno socialista e mi ha dato le basi dell’antifascismo. Non avrei mai potuto andare con i fascisti a dare le nerbate alla gente. Abbiamo fatto la Resistenza per migliorare i diritti dell’umanità".

Com’è il clima che si respira oggi? E cosa diresti ai giovani?

"Allora la fame non era di pane ma di libertà. Ecco, direi questo ai giovani: mantenere sani i principi per cui noi abbiamo combattuto, con il sangue di molti. E di stare molto attenti, perché i fascisti non sono tornati ma non sono mai morti. La cultura della memoria dovrebbe cominciare dalla scuola".

Angela Maria Fruzzetti