MAURIZIO MUNDA
Cronaca

"Impossibile muoversi, facile piangere"

Il racconto della battaglia contro il Covid di Mauro Gregori. Un libro di poesie in carrarino dopo 25 giorni intubato in ospedale

di Maurizio Munda

Quando gli anni fanno rima con ricordi, può succedere di fermarsi, di raschiare nel fondo della mente e di trovarci alcuni pensieri, residui di una passione ancora non del tutto sopita. E allora si prende la penna e i pensieri vengono fissati nella carta, perché nulla finisca nel dimenticatoio, compreso la ferita lasciata dalla lotta personale al covid. E’ quello che è accaduto a Mauro Gregori, fossonese doc, classe 1940 ("sono nato pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra" scrive con ironia) una vita tra il laboratorio di marmi e la divisa della polizia municipale, che dopo avere pubblicato una raccolta di poesie e due opuscoletti sulla piccola frazione ai confini con la Liguria, torna con una raccolta di rime e racconti. "P’nsieri in dialetto carrarino" è il titolo che ha dato alla sua ultima fatica, una piccola raccolta di storie, tra versi inediti o presentati ai concorsi dialettali della città. Per Gregori i "P’nsieri" sono un po’ il ritorno alla vita dopo i 25 giorni passati in ospedale intubato per covid. Per questo apre con una lettera al presidente della Repubblica: "verrà il momento che il subdolo nemico sarà sconfitto e renderemo onore a quanti hanno combattuto in prima linea, con una giornata a loro dedicata – scrive Gregori elogiando quei sanitari che in silenzio lo hanno tirato fuori dal pericolo – i loro nomi scritti sulle tute, le loro voci alterate dalle mascherine: vorrei vedere i loro volti" conclude la lettera sperando in una umanità migliore. E tra i pensieri, uno è dedicato anche alle donne, quelle infermiere che lo hanno assistito in terapia intensiva, irriconoscibili dentro le loro protezioni per cui l’età si può solo presumere dal tono della voce: "volevo abbandonare il campo, la contesa era impari, le ferite erano insopportabili, i piedi pesanti, doloroso il solo contatto con le lenzuola, le braccia perforate da continui prelievi, il cavo dell’ossigeno nel naso, proibito toglierlo, impossibile muoversi, facile piangere, visite vietate" scrive Gregori ricordando quei giorni terribili. E la dedica toccante a quella giovane infermiera con le mani vestite di gomma che lo scuote e lo esorta a non mollare "non fare così, sei forte, vedrai che ce la fai" e in Gregori torna la speranza "in quella voce ho sentito la voce di tutte le donne, l’essenza delle donatrici di vita, la lungimiranza che agli uomini manca". Quindi ritorna il Gregori dialettale, con personaggi e luoghi descritti con precisione e vivacità: Tunin, la Richè, ‘l canalon Fossa Maestra, la signora Rina, ‘na mà, ‘l maè, la p’fana. "Impegno, semplicità e amore per la sua terra sono gli elementi fondamentali della sua poesia" scrive Antonio Crudeli nella prefazione "passato e presente danno origine a meravigliosi quadretti con sfumature cromatiche create dal sapiente uso del dialetto". "Mi sono avventurato nel provare a trasmettere agli altri accenti, suoni, parole spontanee che accompagnano una generosità ruvidamente visibile e coinvolgente" scrive Gregori nella prefazione "un tentativo di scolpire con la penna una parte del vissuto perché ogni parola profusa dalla gente rivela ciò che custodisce dentro, facendone trasparire l’animo e la verità".