REDAZIONE MASSA CARRARA

La mafia alle cave. Ritrovate le bobine dell’inchiesta di Lama

La Procura di Caltanissetta le ha scovate in un archivio del Tribunale di Roma . Rientrano nell’indagine choc che cerca di fare luce sull’uccisione di Borsellino.

La mafia alle cave. Ritrovate le bobine dell’inchiesta di Lama

Il magistrato Augusto Lama e, in alto,. l’ex maresciallo della Finanza Piero Franco Angeloni che indagarono sulla mafia alle cave

Ci sono novità nell’inchiesta aperta dalla Procura di Caltanissetta sulle stragi di mafia che prende spunto dall’indagine dei primi anni ’90 della Procura di Massa sull’infiltrazione mafiose alle cave. Sono state ritrovate, infatti, le intercettazioni che la Procura apuana fece nel giugno 1991. Bobine ’sparite’ nei palazzi di giustizia per oltre 30 anni e che rivelavano, secondo gli inquirenti, i rapporti tra manager, politici e boss mafiosi. Nell’estate del 1990, com’è noto, l’allora sostituto procuratore di Massa, Augusto Lama, in collaborazione con il maresciallo della Guardia di Finanza, Piero Franco Angeloni, iniziò un’indagine che portò a scoprire il legame tra aziende del marmo, la Sam e la Imeg, con la Calcestruzzi Ravenna spa del gruppo Ferruzzi-Gardini, di cui amministratore unico era il geometra Girolamo Cimino, cognato di Antonino e Salvatore Buscemi, fedelissimi di Totò Riina. Un’inchiesta, in estrema sintesi, che dimostrava il tentativo di Cosa Nostra di ripulire gli enormi proventi della droga investendo in attività lecite, come l’ingresso nelle cave e negli appalti pubblici siciliani, grazie a società ’al di sopra di ogni sospetto’.

Lama, però, dovette mollare l’inchiesta il 15 febbraio 1992, dopo un’ispezione ministeriale e un procedimento disciplinare avviato dal procuratore generale della Corte d’appello di Genova, sulla base di un esposto che censurava una sua intervista sui possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia. Ispezione che poi si risolse in un nulla di fatto e procedimento disciplinare da cui Lama fu scagionato nel novembre ’93.

Un’informativa sull’inchiesta apuana arrivò alla Procura a Palermo ma non venne presa in considerazione. Il fascicolo invece, che conteneva anche 27 bobine di preziose intercettazioni ambientali, finì prima alla Procura di Lucca, poi a Firenze e infine al Tribunale di Roma. La Procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca, stava cercando quelle bobine da mesi, nell’ambito dell’indagine attualle sul presunto insabbiamento dell’inchiesta mafia-appalti, a cui lavorava nel 1992 il giudice Paolo Borsellino. Un’inchiesta choc. La Procura nissena infatti ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di favoreggiamento alla mafia, Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo, Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma e attuale presidente del Tribunale della Città del Vaticano, e il generale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. L’accusa per i due magistrati, che nel 1992 erano pm nel pool antimafia insieme a Falcone e Borsellino, è proprio quella di non aver tenuto nella dovuta considerazione l’inchiesta condotta da Lama e Angeloni.

Ora, dopo tante ricerche, quelle intercettazioni sono riemerse dall’oblio. A ritrovarle, in un vecchio archivio del Tribunale di Roma, sono stati i finanzieri del Gico, il gruppo antimafia del nucleo di polizia economico finanziaria. All’appello, però, mancano ancora i brogliacci contenenti le loro trascrizioni.

Luca Cecconi