Mafie alle cave, l’inchiesta si allarga. Ora è indagato anche Pignatone

L’accusa è di favoreggiamento per aver insabbiato l’indagine su Cosa Nostra e gli appalti partita da Massa. Il magistrato, attuale presidente del Tribunale Vaticano, è stato interrogato ieri. "Ho dichiarato la mia innocenza".

Mafie alle cave, l’inchiesta si allarga. Ora è indagato anche Pignatone

L’ex pm di Palermo, presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone

C’è anche l’ex procuratore di Palermo, Roma e Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, tra gli indagati dalla Procura di Caltanissetta per il presunto insabbiamento di un’indagine, aperta a Palermo nel 1992, sui rapporti tra gli imprenditori mafiosi Nino e Salvatore Buscemi e il gruppo Ferruzzi guidato da Raul Gardini. Il magistrato – attualmente presidente del Tribunale di Città del Vaticano – ha ricevuto un invito a comparire e si è presentato ieri davanti ai pm siciliani per essere interrogato. "Ho dichiarato la mia innocenza in ordine al reato di favoreggiamento aggravato ipotizzato – ha detto Pignatone –. Mi riprometto di contribuire, nei limiti delle mie possibilità, allo sforzo investigativo della Procura di Caltanissetta". L’ipotesi di reato è di favoreggiamento alla mafia commesso, secondo l’accusa, da Pignatone ai tempi in cui era pm a Palermo, in concorso con l’ex procuratore Pietro Giammanco (morto nel 2018 e considerato l’"istigatore" della condotta), con l’allora collega Gioacchino Natoli e il capitano della Guardia di Finanza (ora generale) Stefano Screpanti. Sia Natoli che Screpanti sono già stati interrogati: Natoli si è avvalso della facoltà di non rispondere ed ha annunciato di voler chiarire la sua posizione in un secondo momento, mentre l’alto militare ha respinto le accuse.

La ricostruzione della Procura di Caltanissetta ruota attorno al fascicolo sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nelle cave di marmo a Carrara e in Versilia, di cui Natoli chiese e ottenne l’archiviazione nel giugno 1992. Tra i principali indagati c’erano Nino e Salvatore Buscemi (vicini al ’capo dei capi’ Totò Riina), gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (al vertice del gruppo Ferruzzi), nonché il boss Francesco Bonura e il politico democristiano Ernesto Di Fresco. Secondo l’accusa, Natoli, Giammanco, Screpanti e Pignatone (ciascuno nel proprio ruolo) hanno aiutato i sospettati a "eludere le investigazioni", svolgendo "un’indagine apparente" e in particolare chiedendo "l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale, inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target", e "solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione". Inoltre, non sarebbero state "trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato".

Tutto nasce dall’inchiesta di Massa, condotta al tempo dal procuratore Augusto Lama e del maresciallo della Finanza Piero Franco Angeloni, sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo, e confluita nel procedimento ’mafia-appalti’ per favorire mafiosi, imprenditori e politici. Un’inchiesta che dimostrava il tentativo di Cosa Nostra, alla fine degli anni ’80, di ripulire gli enormi proventi della droga investendo in attività lecite, come l’ingresso nelle cave, e penetrando negli appalti pubblici siciliani grazie a società ’al di sopra di ogni sospetto’. "Ho sempre ritenuto e continuo a ritenere – ha sostenuto Lama anche davanti alla Commissione parlamentare Antimafia – che una maggiore attenzione agli esiti della nostra indagine apuana, e al rapporto del Ros dei carabinieri dello stesso anno, oltre a un conseguente approfondimento investigativo, avrebbero consentito di avviare l’inchiesta ’mafia-appalti’ con qualche anno di anticipo".

Una indagine, quella su mafia e appalti, che sarebbe il vero movente della strage di via D’Amelio a Palermo in cui, il 19 luglio 1992, furono uccisi il giudice Paolo Borsellino assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Una tesi sostenuta dai familiari di Borsellino e in particolare da Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice ucciso. Lo stesso avvocato ne ha parlato alla Commissione Antimafia e ai magistrati di Caltanissetta. La Procura siciliana – il procuratore Salvatore De Luca, l’aggiunto Pasquale Pacifico e i pm Davide Spina e Claudia Pasciuti del pool stragi – vuole vederci chiaro. Nei mesi scorsi era stato interrogato lo stesso Lama.

Luca Cecconi