Carrara, 7 novembre 2017 - Che fosse caduto in disgrazia con la famiglia reale era già noto da tempo, ma che per farlo fuori si usassero addirittura le manette nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Bakr Bin Laden, presidente della Marmi Carrara, fratellastro del più famigerato Osama attentatore delle torri gemelle, è stato arrestato a Riyad insieme agli 11 principi sauditi e alle decine di ministri ed ex ministri. Le accuse ci ricordano i fatti di casa nostra: i danni dell’alluvione di Gedda del 2009 e un’emergenza sanitaria del 2012. Nulla di nuovo, verrebbe da dire, se non fosse che questi fatti stanno sconquassando la geografia amministrativa di quella parte del mondo dove si ragiona in petroldollari e dove il buono e cattivo tempo lo fa la monarchia assoluta. Quel principe ereditario Mohammed Bin Salman che, con un fiuto che va lontano, ha deciso di aprire l’economia al verde e diversificarla dal petrolio, intravvedendone la fine e che forse ha trovato qualche ostacolo in quella vecchia guardia più incline a mantenere lo status quo. Così è finito nella retata degli scomodi anche il nostro Abkr Bin Laden arrivato nelle Apuane nel 2014 per comprare dalla Marmi Carrara la metà delle quote e per garantirsi, con un escavazione a chilometro zero, quel materiale di lusso utile per la sua azienda. Perché all’epoca la famiglia di Bin Laden era la «favorità» in caso di costruzione di una moschea, un aeroporto, un centro commerciale. La Bin Laden group, che da sola fattura 38 miliardi di dollari annui, ha messo le firme sui più importanti progetti degli ultimi decenni, tutto decorati e allestiti rigorosamente con quel marmo bianco che da sempre ha contraddistinto il lusso arabo. Una serie di arresti che dal mondo arabo ha avuto eco anche nelle nostre cave dove i Bin Laden hanno un ruolo di prim’ordine. Tuttavia come affermano i soci della marmi Carrara pare che queste manette non compromettano più di tanto il lavoro al monte. Così Andrea Rossi, ad della Marmi Carrara: «Sulle notizie apparse sulla stampa internazionale al momento non abbiamo nessuna conferma – spiega Rossi –. Ciò che è certo è che quanto è avvenuto non determina pregiudizio alcuno né in ordine alla continuità della gestione di Marmi Carrara nè in ordine al funzionamento degli organi della società».
Quando i principi del petrolio si sedettero al tavolo con le famiglie del marmo. Era l’estate bollente del 2014, poco prima dell’alluvione del 5 novembre e la città conobbe la famiglia Bin Laden. Con un’operazione imprenditoriale unica nella sua storia, i principi arabi erano riusciti ad entrare nelle nostre cave. Si sa, l’oro bianco è molto apprezzato dal Medio Oriente per la costruzione di moschee, grandi magazzini, ville di lusso e la famiglia araba, con questa operazione, era riuscita ad arrivare direttamente alla fonte, tagliando fuori tutti gli intermediari, i broker che dal marmo ricevono laute commissioni. E l’avevano fatto con grande stile, staccando un assegno da 45 milioni per acquistare metà della Marmi Carrara, rilevando in toto la ‘Erton’, società di proprietà delle famiglie Piacentini e Volterrani e degli imprenditori Ciro Gaspari e Giancarlo Tonini presente al 50 per cento nella MC (ogni famiglia appena citata era all’interno della ‘Erton’ per un quarto). Il piatto era appetibile, basti pensare che nel 2016 l’azienda con 29 dipendenti, detentrice del 50 per cento delle cave della ex Sam (che detiene un terzo dei bacini marmiferi), ha fatturato ben 29 milioni di euro e detiene il 10 per cento delle cave. Ma anche di grande fiuto imprenditoriale, visto che la famiglia Bin Laden era solita acquistare lastre e lavorati per i loro affari: soltanto nel 2013 avevano fatto commesse per circa 40 milioni di euro nelle nostre aziende. La firma del contratto era arrivata il 31 luglio del 2014 nello studio del notaio Alessandro Matteucci: le famiglie Gaspari, Tonini, Piacentini e Volterrani non avevano esercitato il diritto di prelazione e avevano accettato l’offerta della Saudi Bin Laden group, una delle società più importanti dell’Arabia Saudita in materia di costruzioni e energia e che fattura ogni anno circa 38 miliardi di dollari, presieduta da Bakr Mohammed Bin Laden. Nemmeno i titolari dell’altra metà della MC, Franchi della Umbertofranchi e Rossi del Fiorino, avevano esercitato il diritto di prelazione e avevano accolto i nuovi arrivati. Agli arabi, i quali avevano trasferito le quote della ‘Erton’ nella neonata ‘Cpc Marble & granite Ltd’, era stata affidata la presidenza, amministratore delegato della Mc invece era rimasto Andrea Rossi (in carica dal 2009). Un grande colpo perché le cave gestire da Mc riguardano in parte beni estimati, che spaziano nei tre bacini di Lorano, Gioia e Canalgrande, dove è presente il bianco che più bianco non si può. La scelta di investire sul lapideo era stata figlia di una più ampia operazione che la Sbl group, una delle società più importanti dell’Arabia Saudita in materia di costruzioni e energia, che fattura ogni anno circa 38 miliardi di dollari aveva messo in campo tre anni fa: 20 miliardi di dollari per operazioni in tutto il mondo, tra cui le cave. Una cifra mastodontica, considerato che il nostro indotto registrava all’epoca 200 milioni di euro.