Carrara, 12 luglio 2022 - La testa del cavallo prende forma dal blocco di marmo sotto il braccio meccanico del “robot scultore”. Non una testa qualsiasi ma quella esposta al BritishMuseum di Londra, uno dei marmi del Partenone che alimentano la secolare controversia culturale tra Inghilterra e Grecia. Quella testa di cavallo, a grandezza naturale, da fine giugno sta prendendo forma nel laboratorio di Torart a Carrara. Modellata in marmo locale, è il prototipo di una copia da scolpire poi da un blocco di marmo estratto sul monte Pentelicus, la principale fonte della pietra per la costruzione dell’Acropoli. Il robot e la testa sono finiti sulla prima pagina del New York Times perché l’avanzatissima tecnologia potrebbe mettere ora fine alla disputa riproducendo copie perfette delle sculture e dei bassorilievi, che risalgono a oltre quattro secolo avanti Cristo. Potrebbero tornare ad Atene gli originali presi dal Partenone e da altri templi greci classici sull’Acropoli dagli agenti di Thomas Bruce, uno statista scozzese e settimo conte di Elgin, e il BritishMuseum terrebbe le copie.
L’articolo del NYT racconta la storia dei marmi del Partenone in modo dettagliato e svela l’idea di Roger Michel, direttore esecutivo dell’Institute of Digital Archaeology: il problema potrebbe essere risolto con l’aiuto della lavorazione 3D. Il suo consorzio di ricerca, con sede all’Università di Oxford, ha sviluppato un robot con la capacità di creare copie fedeli di grandi oggetti storici. Nel 2016, a Trafalgar Square a Londra, ha presentato un modello in scala di due terzi, in marmo egiziano, del monumento siriano chiamato Arco Monumentale di Palmira, noto anche come Arco di Trionfo, realizzato da Torart. L’originale era stato costruito dai romani e si pensava avesse due millenni ma è stato distrutto dai combattenti dello Stato Islamico nel 2015.
Ora il cavallo, poi il robot taglierà una copia di un secondo marmo del Partenone: ametope, o pannello scolpito, della Centauromachia, una mitica battaglia tra i Lapiti civilizzati e i centauri bestiali alla festa di nozze di Peirithous e Ippodamia. Per Michel le copie sono destinate al British Museum. "Il nostro unico scopo è incoraggiare il rimpatrio dei marmi di Elgin – ha detto al Nyt – Quando due persone vogliono la stessa torta, cuocere una seconda torta identica è una soluzione ovvia".
Ancora non si sa come andrà a finire la disputa ma intanto la testa del cavallo e le altre riproduzioni, appena completate, verranno esposte per dimostrare come una possibile soluzione alla querelle esista e aumenterebbe la possibilità di fruizione delle opere ad un pubblico più vasto. Oltre a soddisfare le richieste di artisti contemporanei di fama mondiale, da sempre Torart, il laboratorio d’arte di Carrara all’avanguardia nel mondo, mette al servizio di progetti di archeologia digitale e recupero del patrimonio artistico le sue competenze. E’ stato il caso anche della statua greca di Perséfone Gaia d i origine tarantina, esposta all’Altes Museum di Berlino, oggi visibile al Museo Archeologico nazionale di Taranto come replica.
In attesa che si arrivi ad una soluzione definitiva, la tecnologia sviluppata dai Giacomo Massari e Filippo Tincolini, soci fondatori di Torart, ha aperto nuovi scenari nella fruizione di opere d’arte. Nel loro laboratorio artistico convivono tradizione e innovazione: il software genera in autonomia il programma che consente al robot antropomorfo, prodotto da Robotor (l’altra azienda di Giacomo e Filippo), di lavorare la pietra. Una continua ricerca e contaminazione tra arte, territorio, tradizione e tecnologia quella di Robotor. Scansioni, nuvole di punti, progettazione, sollevano l’artigiano-artista dal lavoro usurante, rischioso e pericoloso. Ma resta fondamentale il ruolo dell’artista che crea, o creò quando riproduce opere antiche.
Un’evoluzione affascinante che ha conquistato anche la Rai arrivata a Carrara per comprendere e filmare i suoi marmi e il lavoro di Torart. E il filmato è andato in onda nei giorni scorsi nel programma “Codice - La vita è digitale“ condotto da Barbara Carfagna. Nel servizio Giacomo Massari racconta quell’affascinante fusione tra tecnologia e arte che trova nel robot una delle massime espressioni. "Il robot – ha spiegato Massari – toglie quella fase di fatica permettendo allo scultore di concentrarsi sulla fase ultima della sua opera, ovvero sul’ultimo millimetro della lavorazione". "Ciò che è cambiato rispetto al passato – ha spiegato Filippo Tincolini – è la tempistica. Basti pensare che per realizzare “Amore e Psiche” Canova avrebbe impiegato 12 giorni di robot e 4 mesi di rifinitura manuale anziché i cinque anni che sono occorsi". E oggi al robot affidano le loro opere artisti come Jeff Koons e Maurizio Cattelan.