Il Tar ha giudicato inammissibile il ricorso presentato da sei aziende del marmo contro il Comune sul riconoscimento della natura pubblico o privata delle cave in cui estraggono. Per il Tribunale amministrativo il ricorso è "inammissibile per difetto di giurisdizione", e rimanda tutto al Tribunale di Massa. Il Tar ha stabilito ancora una volta che sui diritti di proprietà la sede di discussione è il giudice ordinario. Così ha deciso la camera di consiglio.
A presentare ricorso contro la delibera di consiglio, la numero 46 del 2020, sono stati Figaia Cave, Beran e Il Fiorino Stone, Fosso Cardellino, Fb Cave e Escavazione Marmi Calocara difese dalle avvocate Cristiana Carcelli e Cristina Cattani. A difendere palazzo civico c’era invece l’avvocato Dario Rigacci. Sul tavolo la questione della ricognizione "degli agri marmiferi comunali quali beni appartenenti al patrimonio indisponibile del Comune". Ed è proprio questa ricognizione che le sei aziende contestano a palazzo civico, che secondo i ricorrenti avrebbe inserito nei mappali anche porzioni di cava private, ovvero i beni estimati di loro proprietà.
"Ritenendosi lese dall’atto alcune società operanti nel comprensorio lapideo apuano – si legge nella pronuncia del Tar –, quali soggetti concessionari di cave e autorizzati all’escavazione ed estrazione marmi hanno impugnato il provvedimento", come detto la delibera di consiglio numero 46 del 2 luglio 2022. Quattro i punti contestati: il Comune avrebbe proceduto ad una attività non meramente ricognitiva, includendo nel patrimonio indisponibile dell’ente parte di beni appartenenti alla proprietà privata delle ricorrenti (beni estimati), il Comune avrebbe operato con gravi carenze istruttorie, in quanto non avrebbe tenuto in debita considerazione alcuni pareri legali e decisioni giurisdizionali rese inter partes che qualificano parte dei beni inclusi nella delibera come aventi natura di bene estimato, il provvedimento non recherebbe adeguata motivazione in ordine all’inclusione di detti beni all’interno della ricognizione, e palazzo civico avrebbe violato l’articolo 32 nella parte in cui prescrive la comunicazione degli esiti dell’attività di ricognizione agli interessati, poiché nel corpo del provvedimento non vi è traccia di alcuna indicazione in ordine a tale comunicazione.