Massa, 8 febbraio 2025 – “Un sentimento di gratitudine e leggerezza, perché durante le nostre attività con i cani da pet therapy si crea una speciale bolla all’interno della quale vigono regole diverse da quelle della quotidianità del carcere. Un momento prezioso anche per i detenuti, autentico”. Francesca Mugnai, psicologa, filosofa, specializzata in psicologia nella natura, è presidente di Antropozoa, realtà che da oltre 25 anni collabora a livello regionale e nazionale con strutture pubbliche e private, ospedali, case di riposo, centri di salute mentale, scuole e Università, con IAA, interventi assistiti con gli animali (la cosiddetta pet therapy) racconta il progetto nella casa circondariale massese: “E’ iniziato nel 2023; dopo una breve interruzione è ripartito in queste settimane e prevede una durata almeno iniziale di circa 8 mesi, fortemente voluto dalla direttrice del carcere Antonella Ventura con incontri di due ore ogni quindici giorni”.
Sono coinvolti molti animali: Kia, Cecco, Sofi, Nina, Bruno, Nana, Orso, Frida, Flo nell’imprescindibile coppia con il loro operatore umano, a partire appunto da Francesca Mugnai e Barbara. I detenuti coinvolti sono circa una quindicina. Mugnai spiega che “c’è una forte richiesta da parte dei detenuti per tali attività. Spetta agli educatori e psicologi del carcere che li seguono nel corso dei mesi valutare chi, in base a caratteristiche comportamentali ed emotive e alla propria storia penitenziaria, può trarre maggiori benefici anche emotivi dalla relazione con l’animale. L’attività di pet therapy viene svolta in una stanza apposita dove è possibile lavorare anche senza guinzaglio, in libertà, gestendo il controllo. Sono presenti gli educatori di riferimento del carcere, gli esperti dell’IAA e il ricercatore”.
Cruciale anche il ruolo degli agenti carcerari: “Sono alleati in questo percorso, riconoscendone i benefici anche a breve termine. La presenza del cane nella struttura, ha un impatto benefico sistemico – aggiunge Mugnai – Crea uno stacco, un momento positivo in una quotidianità spesso sempre uguale anche per chi ci lavora”. Il range di età al quale il progetto si rivolge è davvero ampio: “Attualmente il detenuto più giovane ha 22 anni, il più grande una 70ina – precisa la dottoressa – Per qualcuno è l’unica attività accettata da quando sono in questa struttura: scendono appositamente per svolgerla, li stimola in maniera diversa. Se c’è una “selezione” in base ai reati commessi? No. In questo l’animale è un ottimo esempio: non distingue tra reati. Per lui una persona è una persona, senza giudizi e distinzioni. Per il soggetto coinvolgo c’è un effetto riparatorio, di sollievo. Concentrarsi sulla narrazione dell’animale diventa spesso una metafora, porta a ragionare anche sul proprio grado di affettività e permette di riconoscere le emozioni”.
Qualcuno, una volta uscito, ha proseguito nella relazione con l’animale. “Sappiamo di persone conosciute nel carcere di Massa, realtà molto virtuosa, e tornati nella terra di origine che hanno intrapreso lavori legati agli animali, per esempio in canili o aziende agricole. Il progetto ha dunque risvolti sociali, emotivi e personali molto forti”. Il principio caratterizzante il “Modello Antropozoa”, sviluppato in tanti anni di lavoro con varie realtà, è che l’operatore è l’attivatore e facilitatore insieme e con all’animale di dinamiche relazionali complesse e strategiche, in cui si realizza il cuore dell’intervento di pet therapy.