PATRIK PUCCIARELLI
Cronaca

"Puniti per aver salvato vite". L’esasperazione di Open Arms: "Abbiamo fatto il nostro dovere"

Nuovo fermo amministrativo di 20 giorni per la nave e in arrivo una sanzione fino a 10mila euro. Tre salvataggi nella stessa missione: "Sul terzo gommone c’erano 94 minori non accompagnati". .

"Puniti per aver salvato vite". L’esasperazione di Open Arms: "Abbiamo fatto il nostro dovere"

"Puniti per aver salvato vite". L’esasperazione di Open Arms: "Abbiamo fatto il nostro dovere"

La storia si ripete: la Open Arms è ferma in porto con un blocco amministrativo di 20 giorni e una multa che potrebbe arrivare fino a 10mila euro. Ma la Ong non ci sta perché "quelle persone, tra cui 94 minori non accompagnati, andavano portate in salvo". Così, dopo l’ultimo stop imposto dal Governo del 22 agosto concluso 23 giorni dopo con una multa di 3mila 333 euro e quella manovra sbagliata che ha ritardato la partenza a metà settembre, la nave della ong spagnola torna a fare i conti con la giustizia. Da una parte il decreto Piantedosi e le eliche che anche questa volta si fermano e lasciano i soccorritori nel porto apuano, considerati colpevoli di aver salvato 176 persone in tre salvataggi e non uno solo come impone la norma.

La Open Arms si appella al codice della navigazione: "E’ un dovere del capitano di qualunque imbarcazione prestare soccorso a naufraghi in pericolo di vita e l’omissione di soccorso è un reato grave punibile dalla legge". Finito il primo blocco il 17 settembre la nave, una volta lasciato il porto di Carrara, aveva fatto rotta verso lo scalo di Siracusa da dove il 24 settembre era partita verso il Mediterraneo centrale. "Sabato 30 settembre alle 9 di mattina è arrivata la segnalazione di Alarm Phone che indicava una piccola imbarcazione in difficoltà con 35 persone a bordo tra cui 9 donne e 6 bambini – spiega la Ong –. Poi la seconda segnalazione alle 13 di un’altra barca alla deriva, sempre in acque internazionali nello specchio di mare antistante la Libia, con a bordo 33 migranti tra cui diverse famiglie".

A quel punto la Open Arms segnala i soccorsi alle autorità competenti e riceve l’indicazione del porto di destinazione a Genova per lo sbarco ma, intorno alle 16, "l’aereo Seabird della ong Sea Watch ha indicato un gommone sovraffollato in pericolo, con 109 persone, 94 erano minori non accompagnati e senza barche di salvataggio nelle vicinanze – specifica l’equipaggio –. Così abbiamo informato di nuovo le autorità e ci siamo diretti verso il target che era a circa 20 miglia (37 chilometri) dalla nostra posizione, cioè a due ore di navigazione. Abbiamo messo in sicurezza i naufraghi effettuando il trasbordo sul ponte della nostra nave, sempre informando le autorità italiane che non hanno mai fornito una risposta a nessuna delle mail inviate". Il porto sicuro indicato è quello di Genova e la Open Arms imposta la rotta poi la rettifica: sbarco a Marina di Carrara dove mercoledì ha attraccato, alla banchina Buscaiol del porto di levante.

Scendono i 176 migranti salvati. "Il nostro capitano e la nostra capo missione sono stati ascoltati per oltre 6 ore dalle autorità competenti per una ricostruzione di quanto avvenuto – spiegano da Open Arms – . Dopo il colloquio con le autorità, la nave ha ricevuto il fermo amministrativo e la multa. Riteniamo davvero inaccettabile dover subire un secondo fermo per aver fatto il nostro dovere, per aver cioè rispettato le Convenzioni Internazionali e il Diritto del mare. Tutte le persone soccorse erano in condizioni di estrema vulnerabilità, provate fisicamente e psicologicamente e tanti i ragazzi tra i 14 e i 16 anni".

Alza la voce anche il fondatore di Open Arms, Oscar Camps: "Mi sembra ridicolo che dei bagnini professionisti vengano sanzionati e bloccati per aver risposto a un ‘mayday’ in acque internazionali, ma ciò che mi sembra molto triste e deludente è il ruolo della Guardia Costiera, dovrebbero essere professionisti disposti a disobbedire per non mettere in discussione i propri valori e i propri principi, anche l’intelligenza artificiale farebbe meglio. Dal carcere del fondo del mare purtroppo non c’è modo di uscire". Infine conclude la Ong: "Affronteremo anche questo fermo e le conseguenti spese legali, convinti di essere dalla parte giusta delle storia, abituati ormai da 8 anni a doverci difendere per un paradossale capovolgimento della realtà per cui chi salva vite viene inquisito, multato e fermato e chi invece incarcera, tortura, ricatta persone vulnerabili viene finanziato e sostenuto con fondi europei".