Mancano i medici di famiglia, saranno sempre meno e avranno troppi pazienti da gestire. La gente è preoccupata: perché nessun medico vuole intraprendere questa carriera? Che conseguenze ci saranno per i pazienti? "Ci sono località come Zeri, Comano e Montedivalli - ha segnalato alla Regione ha il presidente della Società della Salute, Riccardo Varese - dove la mancanza del medico di famiglia costringerebbe una popolazione avanti con l’età a fare parecchi chilometri per farsi prescrivere soltanto una ricetta". Gli interrogativi si inseguono man mano che si allunga la lista dei medici di base in pensione. Rilanciamo l’interrogativo al dottor Pier Camillo Cocchi, medico di famiglia di Pontremoli con grande esperienza, vicino al traguardo finale della carriera.
"In realtà i medici si troverebbero - spiega - ma non li hanno specializzati in medicina generale, un titolo che richiede tre anni di studio dopo la laurea, la cui frequenza deve essere pagata con una borsa di studio, ma la Regione ha finanziato pochi corsi. Pur conoscendo i dati sui medici di famiglia in uscita non hanno programmato il ricambio. Accedere a questi corsi è sempre stato difficilissimo, non tutti hanno potuto iscriversi. Ora però stanno cercando di rimediare con solito sistema al’italiana: tutti i medici delle Usca, impiegati nelle unità speciali per il Covid potranno entrare senza frequentare questi corsi e anche i medici che hanno fatto pochi mesi di praticantato potranno accedere alla convenzione di medicina generale. Stanno cercando dei tappabuchi e soluzioni d’emergenza come quella di aumentare il massimale da 1.500 a 1.800 pazienti". Secondo i dati della Società della Salute solo 10 medici di famiglia su 18 hanno aderito alla possibilità offerta loro dalla Regione di allargare la platea degli assistiti. Come spiega questa scelta? " Siamo tutti alla vigilia della pensione - aggiunge il medico - è difficile trovare colleghi che proprio a fine carriera vogliano lavorare di più. Già ora stiamo scoppiando e questo è grave". Il dottor Cocchi teme che con la riforma che istituirà le Case di Comunità i medici diventeranno dipendenti dell’Asl e sparirà la figura romantica del medico di famiglia di un tempo. Si chiuderà il rapporto privilegiato paziente-medico. "Con l’entrata in funzione delle Case di Comunità i malati saranno curati con una rotazione dal personale medico presente - aggiunge Cocchi - Un epilogo auspicato da molti di noi perché si guarda agli effetti positivi dell’inquadramento di lavoro. Ma mi chiedo cosa ci possa essere di diverso con le Case di Comunità rispetto alla medicina di gruppo della Casa della Salute all’Istituto Cabrini. Qualche miglioramento strutturale forse, ma il personale medico non aumenterà. Forse l’investimento che occorre si potrebbe spendere meglio. Ma il problema è sempre quello: non so come riusciranno a risolvere il problema di sostituire i medici". A Pontremoli il problema è però meno assillante. Si sono già inseriti 3 giovani medici che sono subentrati nei posti vacanti e uno arriverà entro l’estate. Ma a Villafranca, ad esempio, il prossimo anno andranno in pensione 4 medici di famiglia e non si vedono all’orizzonte i sostituti.
"La strada che ci attende è sempre ricca di ostacoli - prosegue - Un medico di famiglia deve rispettare la lista della spesa altrimenti ricevi bacchettate sulle dita. Si lavora tra le scartoffie. Però difenderei la posizione autonoma dei medici di famiglia. Se diventiamo dipendenti Asl finirà anche la relazione fiduciaria con i pazienti". Stanno smantellando anche le guardie mediche perché non trovano medici che cercano posti migliori. Lo stesso per medici di pronto soccorso. "Per formarli occorrono anni e siamo al collasso", conclude. Le scuole di specializzazione sono “un maledetto muro“ per dirla con Ivano Fossati: i laureati in medicina che devono scegliere trovano numeri chiusi, perché per la normativa europea chi frequenta i corsi deve ricevere una borsa di studio di 11mila euro l’anno e mancano i fondi.
Natalino Benacci