
di Ludovica Criscitiello
"Carrara? È un posto che mi piacerebbe veder rinascere sul serio, ci penso tutte le volte che vengo qui". Ha lei idee chiare Cinzia Monteverdi e le ha sempre avute. Classe 1973, nata a Viareggio ma vissuta a Carrara, trapiantata a Roma dopo gli studi a Parma, è uno dei pochi editori donna in Italia. "Sono una che le occasioni le ha afferrate, è andata a prendersele". Amministratrice delegata e presidente del consiglio di amministrazione di SEIF SpA, media company che pubblica Il Fatto Quotidiano e tutto quel microcosmo che lo circonda e di cui è stata l’ideatrice, insieme ad altri, nel 2009. Compresa l’ultima realtà, nata l’anno scorso, ovvero la Fondazione Il Fatto Quotidiano che promuove progetti umanitari con la collaborazione delle associazioni di volontariato sul territorio. A Carrara, dove ha frequentato il liceo Marconi e dove risiede la sua famiglia, Cinzia Monteverdi torna quasi sempre e quando può nei week-end per respirare aria di casa.
Come può rinascere Carrara?
"In questa città c’è da sempre un capitale che non si riesce a sviluppare nelle sue potenzialità. Carrara è un gioiello non solo per le cave ma anche per la bellezza della parte storica. È in un punto strategico dal punto di vista turistico per chi viene dal nord perchè è a poca distanza dal mare e dalla Liguria. Eppure non si fa abbastanza perché è tutto nelle mani di pochi imprenditori che creano un indotto limitato. Sono ancora troppo poche le persone che lavorano nel marmo rispetto alla ricchezza che crea qui questa materia. Perché non dar vita a un contesto intorno come è stato fatto a Pietrasanta che ogni anno attira tante persone? Eppure Carrara ha una piazza che non ha nulla da invidiare a quelle delle altre. Qui ci sono state le grandi triennali del marmo con artisti mondiali che venivano a esporre le loro opere".
E i giovani intanto da qui fuggono...
"Io sono un esempio, se fossi rimasta non avrei avuto nessuna opportunità di fare quello che faccio. È anche vero che è un cane che si morde la coda. Non possiamo pretendere che facciano tutto le istituzioni, anche i privati si devono impegnare. Occorrerebbe un accordo tra Comune e imprenditori per crearle davvero queste opportunità lavorative".
Disagio giovanile, anche qui gli episodi non sono mancati. Con la Fondazione pensavate di intervenire?
"C’è un progetto con cui intendiamo aiutare i ragazzi delle case famiglia che a 18 anni si ritrovano da soli e non hanno gli strumenti per poter studiare, o intraprendere un corso per l’inserimento nel mondo del lavoro. Vogliamo agire là dove c’è un buco lasciato dalle istituzioni, cercando di dare il nostro contributo. Da un punto di vista organizzativo era difficile fare una chiamata generale, quindi abbiamo scelto di agire individuando l’associazione che opera in quell’ambito. E anche di fare rete che poi è quello che serve. Dopo anni di denuncia con il giornale, siamo passati ad azioni più concrete. E il prossimo progetto a cui stiamo pensando riguarda l’assistenza domiciliare ai malati di tumore".
Secondo lei qual è la mission di un giornale oggi?
"Se posso fare una battuta, devono prima di tutto sopravvivere. E poi i tre ingredienti sono durevolezza, flessibilità e continui investimenti in velocità nell’ottica di un futuro più solido. Bisogna diversificare ma va fatto rimanendo in equilibrio, senza investire troppo su una cosa a discapito di un’altra. E senza dimenticare che bisogna seguire i cambiamenti ma non inseguirli. Stando al passo con loro".