REDAZIONE MASSA CARRARA

Tutti a tavola con il pellegrino medievale

Una storia dell’alimentazione nei secoli bui è stata tracciata nel corso di un webinar nell’ambito del recente "Bancarella della Cucina"

Il pellegrino medievale ? In Lunigiana si rifocillava mangiando pattona, olive e pecorino. Lo stesso menù che toccò secoli dopo a Michel de Montaigne nel suo viaggio in Italia quando si trovò a passare per Monte Bardone. Cibi poveri, ma sostanziosi che consentivano di riprendere le energie dopo le lunghe tappe di cammino. Una storia dell’alimentazione nei secoli bui del medioevo è stata tracciata nel corso di un webinar nell’ambito del recente Bancarella della Cucina. "Sulle tracce dell’antico itinerario seguito dall’arcivescovo Sigerico di Canterbury nel 990 per arrivare a Roma - ha spiegato il relatore professor Luciano Bertocchi - i viandanti medievali percorrevano il tracciato della Via Francigena, la strada che nel Medioevo collegava direttamente la Spagna, l’Inghilterra, la Francia e l’Italia. Il suo percorso costituiva l’asse centrale di una complessa rete viaria che si ramificava nell’Europa intera, e di un articolato sistema territoriale, economico e culturale. Non solo itinerario dei pellegrinaggi ma soprattutto via di collegamento tra culture e modelli sociali diversi, la Francigena ha costituito storicamente il primo itinerario culturale europeo". Ed ora questa antica via intende rappresentare ancora un simbolico strumento di comunicazione, una specie di ponte tra il passato e il presente nel segno della fede. Ma cosa poteva mangiare un pellegrino in Lunigiana nei tempi bui del medioevo ? Secondo la ricostruzione degli storici la parca economia lunigianese a quei tempi puntava sulla produzione agricola di molte colture cereali come si legge nei vari statuti: segale, avena, miglio, spelta e grano e a cui si affiancavano coltivazioni di leguminacee come fave, piselli, fagioli, lenticchie e ceci con le quali si produceva in campagna il pane di mistura che prendeva sapore dalle farine ricavate dai legumi secchi. Il pane di grano era riservato alle occasioni più importanti, veniva invece praticato un largo uso della farina di castagno che era considerato un vero e proprio albero del pane. "La carne era privilegio di pochi - ha concluso Bertocchi - mentre ripetitiva doveva essere la preparazione di minestre di verdure lasciate bollire a lungo nei paioli". Il primo menù lunigianese-antifame conosciuto è del 1388, descritto in una lettera in latino spedita da Giovanni Manzini da Motta di Fivizzano trasferitosi a Pavia a un Malaspina di Fosdinovo (citata da Girolamo Gargiolli nel Calendario Lunense del 1835) nella quale si parla di una cena dell’epoca con ospiti. Quell’antico turnover di pietanze procedeva secondo questa cadenza: pane tagliato a fette, lasagne con noci e pan grattato, rape seccate, castagne bollite e mele succose. Cucina povera, poverissima, che molto lentamente si evolve lungo un arzigogolato tragitto tra storia e costume. E i viandanti spesso dovevano accontentarsi di intingere il pane in una scodella di questa brodaglia che però costituiva un viatico materiale per la fede in vista della città eterna.

N.B.