C’erano circa 300 persone ieri, intorno alle 18, in piazza Aranci per dire no all’apertura di 7 cave sui monti intorno a Massa. Accanto ai volti storici delle associazioni ambientalistec’erano diversi giovani, come le studentesse dell’Artistico che il marmo lo lavorano e vogliono continuare a lavorarlo. Erika, Elisa, Jennife e Paola che spiegano di essere in piazza "perché il marmo è prezioso: non deve finire tutto nei dentifrici". Ma c’erano anche le bandiere del Club Alpino Italiano. E Nicola Cavazzutti del Cai guarda i presenti e commenta soddisfatto: "Il vento sta cambiando. Una volta diverse persone, tra queste, non sarebbero scese in piazza".
E ricorda che la manifestazione del gennaio 2020 al grido ‘Aronte non si tocca’ ha salvato il rifugio storico del Cai che si trova a poche decine di metri da una cava che dovrebbe essere riattivata, la Focolaccia, ad oltre 1.600 metri di altezza di fronte alla sella del monte Cavallo. "Ora è sotto tutela come i terreni intorno ma rischia di trovarsi una cava sotto". A fare più impressione non sono le voci degli oratori ma il cubo bianco fatto di lenzuoli sovrastato da 4 enormi canne di bambù. Il cubo simboleggia il marmo estratto e lavorato come tale, il restante spazio vuoto tra le canne il marmo ridotto a detriti. Secondo gli organizzatori della protesta, ogni ora (per 24 ore al giorno e 365 giorni all’anno) vengono estratti dalle Apuane 200 metri cubi di marmo e la legge ammette che il 90% sia detrito.
Tutti uniti dunque per dire no alle scelte dell’amministrazione Persiani di riattivare sette cave: Focolaccia, Carpano di Sotto, Mucchietto, Puntello Borre, Cresta degli Amari, Rocchetta Saineto e Capriolo. Le previsioni contenute nei Piani attuativi dei bacini estrattivi elaborati dal Centro di geotecnologie dell’Università di Siena non sono state ancora rese pubbliche, in attesa della loro adozione in consiglio comunale che aprirà poi la fase delle osservazioni. I volumi estrattivi previsti sono 3 milioni e 335mila metri cubi di marmo nei prossimi 10 anni su sette dei nove bacini. In pratica circa 9 milioni di tonnellate. Va detto che l’autorizzazione base da parte del Comune riguarda il 50% della quantità massima scavabile: percentuale che può aumentare grazie alle premialità inserite all’interno dei Pabe (posti di lavoro, tecnologie usate e certificazioni ambientali). Numeri che non soddisfano gli industriali del marmo ma che fanno tanta paura alle associazioni ambientaliste perché si parla di riattivare cave che al momento non estraggono marmo e dove la natura in alcuni casi si è riconquistata gli spazi lasciati vuoti dalle macchine e dall’uomo.
A organizzare la protesta è stato il collettivo studentesco Tirtenlà ma l’adesione è stata ampia: Cai Massa, Cai Carrara, Legambiente, Grig, Italia nostra, Athamanta, Casa Rossa Occupata, Fridaysforfuture Massa, 31 settembre, Accademia della pace, Wwf, Cca, Aquilegia, Assiolo, Apuane Libere, Insieme per L’Ambiente. Tutti uniti per chiedere di non aprire altre cave e, anzi, di ridurre l’impatto dell’attività estrattiva con l’obiettivo di trovare ‘alternative’ economiche perché, assicurano, nessuno è contro i lavoratori del settore. E l’Accademia apuana della pace ricorda che l’attuale escavazione ha raggiunto "livelli di estrazione inimmaginabili 50 anni fa, sta diventando emergenza ambientale. Ma è anche emergenza sociale perché gli occupati sono davvero minimi a fronte di un indotto sulla lavorazione che ormai è assente perché si privilegia l’escavazione". E alla politica l’Accademia chiede di non fare le scelte sbagliate già viste con la Farmoplant: "Riportiamo l’estrazione e la lavorazione del marmo in blocchi in loco, con aumento dell’occupazione, riducendo drasticamente e regolamentando l’escavazione. Evitiamo un’altra distruzione in nome del profitto e fermiamoci prima".