di Angela Maria Fruzzetti
E’ oggetto di atti vandalici la bella lavandaia di Gigi Guadagnucci: scritte, simboli, volgarità: "L’opera è completamente imbrattata da segni di inchiostro nero, blu, rosso e altri colori, evidentemente oltraggiata a più riprese – segnala il comitato ’Una montagna da salvare’ –. Stiamo parlando della famosa ’puppona’, la fontana monumentale che da piazza Bastione in centro a Massa fu trasferita nel 2014 nel parco della Villa della Rinchiostra (senza essere sostituita tra l’altro, lasciando la piazza vuota, ndr) forse sperando di valorizzarla in mezzo al verde. Purtroppo, sistemata a ridosso del muro di cinta, privata della sua funzione di fontana (senza più acqua), l’opera è stata abbandonata al degrado, anno dopo anno, oggi ridotta a uno stato pietoso, in mezzo alla sporcizia e ad escrementi, imbrattata sia di fronte che sul retro".
Non è certo questa la fine che deve fare un’opera dello scultore Guadagnucci, valorizzato a pochi metri, nel museo all’interno della Villa, danneggiato e screditato all’esterno, nel parco. "Vorremmo adottarla noi, la fontana di Guadagnucci – interviene Simone Bertelà, presidente dell’associazione Pubblica assistenza di Bergiola e Bargana –. Guadagnucci è nato e vissuto a Bergiola e in paese non abbiamo un’opera che lo ricordi. Viste le pessime condizioni della fontana, chiediamo all’amministrazione comunale di trasferirla a Bergiola, e noi ce ne prenderemo cura. Un gesto significativo, appunto, perchè tutti i bergiolesi chiedono di avere in paese almeno un’opera di Gigi Guadagnucci".
Inoltre, la lavandaia è nata proprio a Bergiola e racconta un’emozione, un sentimento, un inno alla vita e alla maternità che lo scultore ha voluto interpretare in ricordo di alcuni eventi legati alla sua infanzia, al canale tra Bergiola e Castagnetola, località dove era nato e cresciuto. "Ero piccolo, quando andavo al canale – aveva raccontato lo scultore –. Arrivavano le donne con le ceste in testa, piene di panni sporchi dalavare, e i bambini piccoli tra le braccia. Ero lì, a giocare con altri amici, e mi chiedevano: “Me lo tieni?“ porgendomi il bambino. Io lo tenevo, per aiutarle. Poi posavano la cesta, toglievano i panni e vi adagiavano dentro il piccolino. Restavo estasiato, ad osservarle. Mettevano le gambe nell’acqua e cantavano, sfregando i panni sui sassi levigati del torrente. E quando il bambino piangeva, uscivano dall’acqua, lo prendevano in braccio e lo allattavano. Ecco, quell’immagine di donna forte, capace di donare la vita, non mi ha mai abbandonato e l’ho trasposta in quell’opera scultorea. L’acqua rappresenta la vita, così come il latte che sgorga dai seni".