di Andrea Luparia
Quando il presidente del collegio giudicante Ermanno De Mattia ha letto la sentenza, per i due imputati (entrambi di Carrara) è stata la fine di un lungo incubo. L’accusa, violenza sessuale ai danni di una bambina di 11 anni, che secondo il Pm avrebbe subito per mesi le attenzioni sessuali degli imputati, era davvero infamante. Così è comprensibile l’emozione e la felicità dell’unico dei due che era presente in aula. Ha abbracciato il suo difensore. Per la verità gli avvocati che si sono succeduti nelle loro arringhe convincendo il collegio giudicante e demolendo il castello accusatorio erano tre: Ilaria Maremmani, Valeria Tognini e Gildo Bertoncini. Nelle loro arringhe hanno denunciato la mancanza di riscontri alle accuse lanciate dalla minorenne durante l’incidente probatorio. Ad esempio non c’era traccia, sui social media indicati, degli appuntamenti fissati tra i due maggiorenni e la minore. Una rappresentante della difesa ha demolito anche uno degli episodi più pesanti: secondo il Pubblico ministero, che l’aveva ricordato nella sua requisitoria conclusasi con la richiesta di una condanna a 5 anni per ciascuno dei due, uno degli imputati aveva invitato la bambina a casa per mostrarle dei gattini: ma i micini non c’erano, lui si era spogliato e solo il pianto disperato della ragazzina aveva evitato il peggio. Ebbene, secondo la difesa non solo la piccola non era stata invitata ma quando si è presentata, l’uomo non era in casa.
Ovviamente le motivazioni del verdetto si conosceranno solo 45 giorni, quando il giudice Ermanno De Mattia presenterà le motivazioni. Per adesso ci sono solo due cose certe. La parte civile, rappresentata dall’avvocato David Cappetta, presenterà con ogni probabilità ricorso. Impossibile conoscere in anticipo le decisioni della Procura. Di certo ieri mattina il Pm non si è risparmiato. Ha ricordato la situazione di degrado in cui viveva la famiglia dove la bimba è nata: padre assente, madre con problemi e pochissimi soldi, le testimonianze degli operatori della struttura “Serinper“ dove la ragazzina era stata ospitata per allontanarla da questa situazione di degrado, e soprattutto le parole scritte dalla piccola nel diario che la dirigente della Serinper le aveva messo a disposizione per darle modo di sfogarsi. La piccola infatti era chiusa, parlava poco ed il diario poteva essere uno strumento utile per farla “aprire“. E’ così, leggendo quanto la piccina scriveva, che le operatrici della Serinper hanno saputo dell’esistenza degli uomini che frequentavano quella famiglia così disagiata. Ma la corte ha dato un giudizio diverso.