
Medici e operatori sanitari del Santa Rita coinvolti nell'inchiesta
Montecatini 14 maggio 2015 -Si è conclusa in questi giorni, in tribunale, a Pistoia, l’istruttoria dibattimentale, per quanto riguarda i testimoni della pubblica accusa, nel processo che vede imputati, a vario titolo, per truffa aggravata e falso, medici e operatori della clinica Santa Rita di Montecatini. Nei giorni scorsi, davanti al giudice monocratico Gianluca Mancuso, pubblico ministero Luigi Boccia, che aveva diretto le indagini sulla vicenda, hanno testimoniato i carabinieri del Nas.
Tutti gli imputati: i medici Josip Buric, 50 anni, (difeso dall’avvocato Valerio Valignani di Firenze); Luca Corò e Mario Pellone, difesi entrambi dall’avvocato Simone Aiazzi di Firenze; Alessandro Callai, all’epoca dei fatti amministratore unico, dal 2006 al 2008, della Generale de Santè Toscana srl, proprietaria della clinica (difeso dall’avvocato Carla Guerrini) e Donatella Fatighenti, ex direttore sanitario della casa di cura fino al 2007, difesa dall’avvocato Leonardo Panzano di Foggia, sono accusati di truffa aggravata ai danni dell’Asl 3.
I soli Buric, Pellone e Corò sono accusati anche di falso ideologico in atto pubblico. Secondo l’accusa gli imputati avrebbero alterato i documenti sanitari in modo tale da far figurare interventi chirurgici che, in realtà, non erano mai stati eseguiti e questo avrebbe portato, nei confronti dell’azienda sanitaria pistoiese «a un danno patrimoniale di rilevante gravità» ovvero, per l’esattezza, di un milione e 404.558 euro.
Per arrivare al conteggio di questa cifra, gli investigatori hanno scandagliato i registri operatori analizzando, in tutto, 267 pratiche, la cui corretta attribuzione dei codici per i rimborsi da ottenere, da parte del sistema sanitario nazionale, avrebbe portato alla cifra totale di 458.676 euro, quando invece gli importi complessivi presentati all’azienda sanitaria, dal 2006 al 2010, erano stati di un milione e 863.234 euro, stanziati dalla Regione Toscana ed erogati attraverso l’Asl 3.
«Nello specifico – recita il capo di imputazione – i singoli medici capo equipe, nella compilazione delle cartelle cliniche e schede di dimissione ospedaliera, indicavano come diagnosi principale patologie riconducibili al codice ministeriale dei disturbi delle meningi mentre, in realtà, tutti gli interventi riguardavano ernie discali e discopatie».
Questa falsa rappresentazione, secondo l’accusa, con un codice volutamente diverso, determinava quindi «un ricovero per più giorni, in realtà non necessario», altrimenti, secondo l’accusa, il rimborso da parte del sistema sanitario nazionale sarebbe stato minore. «Tali condotte, recita ancora il capo d’accusa – determinavano un ingiusto profitto sia per la casa di cura, che riceveva i rimborsi che per i singoli medici, che, per la convenzione, dividevano equamente tra di loro i proventi spettanti, indipendentemente da chi avesse eseguito l’intervento». La Corte dei Conti è già stata interessata su questa vicenda mentre l’Asl 3 si è costituita parte civile al processo.